Rispolvero questo thread per riportare anche qua il commento che ho appena scritto su BC.com registrando questo libro per poi spedirlo a lisolachenonce come premio per il gioco
"Giochiamo al FANTA-NOBEL per la letteratura ?"
Ci sono libri di Chiara Gamberale che mi sono piaciuti tanto, altri che comunque ho trovato gradevoli nel complesso, pur essendo però incostanti dal punto di vista dell'interesse suscitato, e infine altri al termine dei quali il mio commento potrebbe riassumersi telegraficamente in un basito "E quindi ??!!".
Alla prima categoria appartengono "Le luci nelle case degli altri", "Quattro etti d'amore grazie" e "L'amore quando c'era"; alla terza "Adesso" e "Passione sinistra"; alla seconda "Color lucciola" e "Per dieci minuti".
Quest'ultimo ha il pregio di trasformare in punto di forza una caratteristica che, ai miei occhi, finisce di solito per rivelarsi invece come un limite dei romanzi della Gamberale: la frammentarietà. La sua struttura fatta di brevi capitoletti, l'assenza di una vera e propria trama (tale infatti non può classificarsi la cornice in cui si inscrivono i diversi "esperimenti": provare ogni giorno per almeno 10 minuti un'esperienza mai provata prima, come terapia per superare la ricaduta emotiva di un periodo di cambiamenti molto gravosi) esaltano infatti l'incedere sincopato dello stile di questa autrice, fatto di svolte improvvise, di frasi ad effetto (a volte sorprendenti e riuscite; altre troppo costruite e forzate), in una parola: di discontinuità.
Mi è piaciuta l'idea di fondo: provare ogni tanto qualcosa di nuovo penso possa fare del bene a chiunque, anche a prescindere da stati emotivi negativi e al di fuori da un approccio di tipo terapeutico. Ho percepito però una certa atmosfera di leggerezza (vorrei quasi dire superficialità) che se da una lato appare consustanziata allo scopo dell'esperimento terapeutico narrato, dall'altro mi ha lasciata con l'impressione di una certa artificiosità. Ed anche una sensazione di déjà vu, dal momento che, gira e rigira, le trame della Gamberale ruotano sempre attorno a donne che perdono fiducia nell'amore.
Alcune pagine sono comunque molto belle, e colpiscono per l'aderenza, solo apparentemente banale, a riflessioni che tutti prima o poi facciamo.
Cito in tal senso due capitoli.
"Alla laurea di una sconosciuta", nel quale si trovano, in successione ravvicinata, i seguenti pensieri:
- "Quant'è assurda la vita, quando non tocca a noi"
- "Assurda e noiosa la vita, quando non tocca a noi"
- "Una minore intensità di aspirazioni senza dubbio permette una maggiore coincidenza con la propria vita"
"Alla cassa, in libreria", che si conclude con questa riflessione sui lettori e sulla lettura:
"Siamo diversi, appunto. Molto diversi fra noi. Leggiamo per noia, per curiosità, per scappare dalla vita che facciamo, per guardarla in faccia, per sapere, per dimenticare, per addomesticare i mostri fra la testa e il cuore, per liberarli.
Non ci somigliamo per niente anche se teniamo in mano, amiamo, detestiamo, e se per Natale regaleremo a chi ci è più caro, lo stesso libro.
Non ci somigliamo per niente.
Fatalmente è proprio per questo che, sì: non c'è dubbio.
Esistiamo.
Ed è questo, forse, che intende la mia editor, quando mi suggerisce di pensare ai lettori.
È un modo per dirmi sceglilo tu, tu e basta, il titolo, scegli tu ognuna delle parole del tuo nuovo romanzo, perchè siano ognuna uguale solo a se stessa.
Com'eravamo noi, tutti, in quella fila, dietro o davanti alla cassa. Uguali solo a noi stessi, con la speranza di affidare a un'altra storia la nostra. Per perderla, per ritrovarla.
Per rimediare, in qualche modo, all'esistenza."