kassandra ha scritto:TyL ha scritto:sul Manzoni e sul suo romanzo ho idee un po' minoritarie (tanto per cambiare)
...tipo...?
Tipo che i promessi sposi sono un grande romanzo e Manzoni non era quel bigotto che ci hanno raccontato a scuola.
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Sono stato un lettore precoce e fortunato. E uso il passato anche per la fortuna poiché ormai mi pare di non averne più, se spesso, leggendo un libro «nuovo», mi assale la sensazione di leggere cose vecchie - cose ridette senza felicità, con ostinata mistificazione, con affaticato travestimento.
Nella vorace avventura di lettore in cui mi scatenavo negli anni tra il '30 e il '40, considero essenziali fortune l'aver letto Victor Hugo prima di Salgari, i Libelli di Courier prima delle Mie prigioni, le novelle dell'abate Casti e le memorie di Casanova prima dei Promessi sposi ; e più tardi, non più in paese ma in una città di provincia, attingendo a biblioteche meno ristrette di quelle dei miei parenti, di non aver capito l'Ulisse di Joyce, nella famosa traduzione di Valéry-Larbaud, molto prima che non lo capissero gli altri nella traduzione italiana. E per quanto riguarda i Promessi sposi, non solo ho avuto la fortuna di leggerlo dopo le novelle del Casti e le memmorie di Casanova (il che mi ha messo in grado di capire, e di seguire poi come un esempio, come una lezione, quello che Vigorelli chiama «il silenzio dell'amore»), non solo ho avuto questa fortuna, dunque, ma anche quella di averlo letto prima che me lo facessero leggere a scuola. E vi prego di credere: non è fortuna da poco, considerando le condizioni in cui la maggior parte degli italiani lo ha letto. Imperando poi, ai miei anni di scuola, la critica crociana, era anche peggio: dal punto di vista della poesia e non poesia, la lettura che Croce faceva dei Promessi sposi non differiva molto da quella che ne fece poi Moravia dal punto di vista organicità-inorganicità. Per entrambi, di fatto, I promessi sposi viene ad essere il romanzo di un intellettuale organico, organico - si capisce - al cattolicesimo. Senza poesia, per Croce; quasi di propaganda ad un cattolicesimo che porta dritto alla Democrazia Cristiana, per Moravia. (Molto più tardi, e quasi in punto di morte, Croce, come sapete, si accorse che nei Promessi sposi c'era poesia; in quanto a Moravia, credo che non si convincerà mai della inorganicità di Manzoni rispetto al cattolicesimo italiano).
A scuola, il libro si riduceva a una specie di scacchiera su cui figure che non arrivavano ad essere personaggi venivano mosse da invisibili mani dal buio alla luce, dalla sventura alla salvezza. Le mani della Grazia, le mani della Provvidenza. E con una precisa divisione dei compiti: la Grazia a muovere padre Cristoforo e l'Innominato, la Provvidenza a guidare a buona sorte la «gente meccanica e di piccolo affare», ma a condizione della purezza di cuore. E benché senza le illuminazioni della Grazia non molto potesse fare la Provvidenza, a questa veniva attribuito il ruolo primario. «Protagonista del libro è la Provvidenza», assicuravano commentatori e professori.
Io invece il libro lo avevo letto, prima, con la convinzione che protagonista ne fosse don Abbondio, personaggio perfettamente refrattario alla Grazia e che della Provvidenza si considera creditore; né c'è stato, da allora ad oggi, commentatore o professore che sia riuscito a farmela mutare.
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Il passo - scritto divinamente - è di Sciascia ma lo condivido fin nelle virgole. Anch'io ho letto i promessi sposi prima che me lo imponessero a scuola, anche a me hanno detto che la grazia e la provvidenza..., anch'io credo che il protagonista sia don Abbondio (non è un caso che dopo 500 pagine è successo praticamente di tutto e lui è ancora lì al suo posto).
Ciao
TyL