Andres Wood, Cile, Spagna, Francia, 120'
con Ariel Mateluna, Matias Quer
A volte mi chiedo “perché” certi film siano arrivati fino a Cannes. O quali oscure ragioni mi abbiano spinto a fare la tessera e sorbirmi delle vere schifezze…
Altre volte, come in questo caso, mi chiedo quali scelte commerciali possano giustificare la (credo) mancata distribuzione in Italia di film come “Machuca”. O il distribuirli con titoli che alterano totalmente il loro significato - “the dancer upstairs” di John Malkovich divenne “Danza di sangue” senza alcun motivo e nesso logico, stravolgendo a priori le impressioni/sensazioni del pubblico anche potenziale… risultato: due settimane di programmazione in un unico cinema (a Milano l’Eliseo) per un film che meritava molto di più, dal pubblico e dalla critica.
Santiago del Cile, 1973.
Pedro Machuca è un ragazzino fin troppo sveglio per i suoi 11 anni che vive nelle baraccopoli. Insieme a pochi altri ragazzini come lui inizia a frequentare uno dei più prestigiosi collegi della città, grazie all’intervento di Padre Mac Enroe, direttore del collegio, il cui principale obiettivo è trasmettere ai suoi allievi il valore del rispetto e della tolleranza proprio nel difficile momento in cui il clima politico e sociale sta deteriorandosi. A scuola conosce Gonzalo Infante: timido, ignaro di ciò che sta accadendo al di fuori del microcosmo della sua famiglia, Gonzalo è figlio di una famiglia agiata dei quartieri alti della città. Gli occhi, le emozioni e l’amicizia dei due bambini mostrano due mondi totalmente diversi e con pochissimi punti di contatto, che finiranno per scontrarsi prima nei cortei della popolazione cilena, poi nel colpo di stato. Il disagio di Gonzalo nelle baraccopoli è pari allo stupore di Pedro davanti all’armadio dell’amico, più grande della capanna piena di fango che la sua famiglia (e forse altre) usano come bagno (“tutti tuoi?”). Il latte condensato (“due scatole a famiglia” “la mia tata ha detto tre” “manda anche lei a fare la coda, allora”) è per entrambi fonte di emozioni, più che di sostentamento: la scusa per scoprire e scambiarsi i primi baci con la cugina adolescente di Pedro. E mentre aiuta l’amico a vendere bandierine e sigarette durante i cortei e le manifestazioni di entrambi gli schieramenti, Gonzalo ridimensiona il suo mondo e nonostante le differenze, che finalmente nota, cerca di avvicinarsi maggiormente a quello di Pedro. Finché non incontra il padre dell’amico, ubriaco, eppure con una lucida visione del futuro che si prospetta per il figlio. “Tuo amico questo? Tra cinque anni il tuo amico andrà all’università. E tu dove andrai? A pulire i cessi di qualche riccone come lui. E sai dove sarà il tuo amico tra 10 anni? A lavorare nella fabbrica dl padre. E tu? Ancora pulire i cessi. E fra 15 anni? Lui dirigerà la fabbrica del padre. E tu sempre a pulire i cessi. Fra 20 anni il tuo amico non ricorderà nemmeno il tuo nome.” Anche la cugina di Pedro non ha pietà: “Bambini e ubriachi non mentono mai” ma Gonzalo è pieno di speranza e fiducia “A volte lo fanno”.
Un dialogo crudo, violento eppure commovente. E che tornerà in mente poco dopo…
Un film che ti segna, che ti fa riflettere, che ti fa venire voglia di rileggere pagine di storia che conosci poco e da lontano…
I due ragazzini sono bravissimi e gli occhi di Pedro hanno una capacità espressiva veramente notevole. La regia è stata definita da alcuni “esperti” spettatori “scolastica” (qualsiasi cosa voglia dire), ma a me è piaciuta, così come la fotografia. Almeno, per quel poco che ho potuto osservare quando non leggevo i sottotitoli…

