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Sto vedendo in questo momento Ballarò... si parla di legalità ed illegalità, hanno invitato il ministro Castelli e Violante... la cosa pià bella che ho sentito dire è stata di un professore di Priceton che ha detto c'è dignità ad obbedire alle leggi
voi che ne pensate?
Alcuni materiali interessanti per seguire la trasmissione:
Di solito evito a priori trasmissioni del genere, ieri invece e' andata diversamente. Che dire... qualche dubbio mi e' venuto.
Troppa carne al fuoco ? Argomenti tutti interessanti, ma illustrarne uno, due battute e via al prossimo non mi pare porti da nessuna parte.
C'e' ancora qualcuno che crede che dar torto agli altri "a priori" sia un modo di discutere valido ? Se Castelli presenta delle cifre e Violante le ritiene sbagliate ma non spiega perche', ne' fornisce delle cifre secondo lui corrette cosa crede di concludere ? E non e' un po' infantile il ricorso a attacchi personali o il ripetere continuamente il mantra "voi siete peggio di noi" ?
Insomma mi pare non ci sia nulla di nuovo sotto il sole, pessima tv e pessimi politici. Credo che riprendero' a ignorare la tv, almeno fino alla prossima puntata di E.R.
Secoli di dominio straniero, la cattiva educazione morale della Chiesa cattolica, una monarchia come quella Savoia, accentratrice e con forti tendenze autoritarie, infine la umiliante esperienza del regime fascista, hanno profondamente corrotto in Italia la consapevolezza della vera libertà politica.
Eppure proprio in Italia è nato e si è affermato un pensiero politico che ha elaborato il concetto di libertà in maniera ricca e originale. Il liberalismo, il repubblicanesimo, il socialismo liberale sono le tre principali espressioni di questa tradizione.
Nell'opinione comune sono dottrine politiche che sostengono tre interpretazioni diverse, anche se non antitetiche, della libertà politica: il liberalismo persegue la libertà intesa come possibilità di godere di una sfera d'azione non controllata dallo Stato, il repubblicanesimo, affine in questo alla teoria democratica, proclama che la vera libertà politica non consiste nel non essere sottoposti a leggi, ma nell'essere sottoposti solo alle leggi che noi stessi ci siamo dati; il socialismo liberale è il difensore del principio che la libertà, per non essere vuota formula, ha bisogno della giustizia sociale e la giustizia sociale a sua volta ha bisogno, per non essere dispotismo, della libertà.
Benché questa descrizione degli ideali di libertà propri del liberalismo, del repubblicanesimo e del socialismo liberale sia in parte corretta, essa non ci permette tuttavia di vedere che le tre dottrine in questione condividono l' idea che la vera libertà consiste nel non essere dominati, ovvero nel non essere sottoposti alla volontà arbitraria di altri uomini, e nell'avere quindi una mentalità libera contrapposta alla mentalità serva.
Il concetto di libertà come libertà della mente e libertà dal dominio nasce con il pensiero politico repubblicano di Roma antica. Nel Digesto (che raccoglie opinioni giuridiche anteriori) la condizione del libero è definita in contrasto con quella dello schiavo. Per schiavo si intende l'individuo che è sotto il dominio di un altro.
Il che significa che l'essenza della schiavitù non consiste tanto nell'essere sottoposto a violenza o costretto con la forza quanto nell'essere in potere di qualcuno, nell'essere sottoposto alla potestà di altri. Nulla vieta che lo schiavo sia libero di fare molte cose e possa anche essere soddisfatto.
Ma fin quando resta sottoposto al potere di un altro non potrà essere libero nel significato pieno del termine e non potrà emanciparsi dalla mentalità servile. Potrà anche fare quello che vuole (se il padrone è buono o debole) ma non avrà la mentalità della persona libera.
Questa concezione della libertà politica rimane viva nella storia del pensiero politico repubblicano e ispira anche le dottrine dei più eminenti pensatori liberali. Se lasciamo da parte, non perché sbagliata, ma perché parziale, l'idea che la libertà liberale consiste, secondo l'insegnamento di Isaiah Berlin, nel non essere ostacolati nel perseguire le azioni che vogliamo perseguire, possiamo vedere facilmente che autorevoli voci del liberalismo condividono l'ideale repubblicano della libertà.
Cito solo, a titolo di esempio, uno dei maestri del liberalismo contemporaneo, Friedrich Hayek. Egli sostiene infatti che la vera libertà consiste tanto nell'assenza di impedimenti quanto nell'assenza di soggezione o sottomissione e spiega che libertà vuol dire essere indipendenti dalla volontà arbitraria di un altro («independence of the arbitrary will of another»), ovvero l'opposto della condizione servile.
Per quanto riguarda infine il socialismo liberale è sufficiente leggere Carlo Rosselli per accorgerci che egli intende la libertà in primo luogo come libertà morale opposta alla mentalità serva. «Il problema italiano - scrive in Socialismo liberale - è essenzialmente problema di libertà.
Ma problema di libertà nel suo significato integrale: cioè di autonomia spirituale, e di emancipazione della coscienza , nella sfera individuale; e di organizzazione della libertà nella sfera sociale, cioè nella costruzione dello Stato e nei rapporti tra i gruppi e le classi. Senza uomini liberi, nessuna possibilità di Stato libero. Senza coscienze emancipate, nessuna possibilità di emancipazione di classi.
Il circolo non è vizioso. La libertà comincia con l'educazione dell'uomo e si conchiude col trionfo di uno Stato di liberi, in parità di diritti e di doveri, in uno Stato in cui la libertà di ciascuno è condizione e limite della libertà di tutti».
Nella concezione che Rosselli aveva della libertà politica vive l'aspetto più fecondo della dottrina di Mazzini, ovvero la convinzione che la vera liberazione consiste nella liberazione dalla subordinazione spirituale e nella conquista del senso del dovere.
Nelle più belle pagine di Mazzini, scriveva Giuseppe Calogero, troviamo una lucida verità pedagogica: «è vano ed illusorio attendersi il rifiorimento e la rigenerazione della pianta-cittadino, se prima non sia stata rifatta, dall'interno, la pianta-uomo, dotata della fede e della volontà cosciente di essere se stessa, e cioè padrona del proprio destino» (Attualità educativa e politica di Giuseppe Mazzini, pp.21-22).
Che era poi l'idea delle menti migliori del liberalismo ottocentesco, primo fra tutti John Stuart Mill, che, ottimo conoscitore dei classici greci e romani, sapeva che la servitù più umiliante e più difficile da sradicare è quella che grava non sulle azioni ma sulle menti.
Fra liberalismo, repubblicanesimo e socialismo liberale esiste un punto di incontro nell'idea di libertà intesa quale emancipazione dalla dipendenza, e conquista dell'autonomia morale dell'individuo.
Essa delinea una teoria dell'emancipazione che non consiste soltanto nella lotta contro il tiranno che opprime con la forza le nostre azioni o nella resistenza contro lo Stato che pretende di sottoporre a controllo la vita intera dell'individuo o nell'opposizione ai regimi autocratici che escludono i cittadini dalla partecipazione alla vita politica.
Il vero fine è la libertà degli individui interpretata come conquista dell'indipendenza e della maturità morale per mezzo delle buone istituzioni, delle buone leggi e dell'educazione. La saggezza antica che ci spiega che essere schiavi vuol dire essere schiavi nella mente e vivere senza senso del dovere è diventata attuale proprio nelle democrazie, soprattutto nella nostra.