Zadie Smith - Denti bianchi

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Xenia
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Messaggio da Xenia »

l'ho comparto al Libraccio (se interessa ai Milanesi, quello di via Corsico) in super sconto e con molta curiosità, non avevdo dubbi che sul forum avrei trovato qualche recensione interessante... il tomo è abbastanza alto ma mi fido dei vostri commenti, quindi non appena finisco il DDe Luca che è in borsa lo attacco ;)
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johnnyfichte
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Messaggio da johnnyfichte »

Lo sto leggendo in lingua originale. Prestito di una fine intellettuale che ci ha fatto su la tesi. :mrgreen:
Tesi che mi accingo a leggere finito il volume in questione.

Non so come inquadrarlo. Non saprei a cosa accostarlo. Ma sicuramente mi diverte molto, anche grazie alla metrica, proprio come direi per Paul Auster su un piano del tutto diverso.

Ecco, probabilmente andrebbe letto ad alta voce. Trovo la resa del parlato con l'attenzione agli accenti, alle esitazioni, agli incespicamenti esilarante. La traduzione italiana come affronta questo scoglio ? :eyes:

Mi vengono in mente gli stupendi Simpsons doppiati nei dialetti della penisola! :lol:
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Snezhinka
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Messaggio da Snezhinka »

Lo scoglio "traduzione" non viene superato...ma saltato a piè pari...
La parlata della nonna e la resa del suo accento (in lingua originale esilaranti) nella traduzione si perdono del tutto...
Chi può lo legga in lingua originale :D
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Simona Busto
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Ironia ed equilibrio

Messaggio da Simona Busto »

Scritto con brio e permeato di un'ironia sottile che centra sempre il bersaglio, ''Denti bianchi'' è forse il miglior libro d'esordio che abbia letto da anni. Zadie Smith è bravissima nel tratteggiare i suoi personaggi, nel descriverne le particolarità in maniera sarcastica, ma senza mai sconfinare nella macchietta parodistica. In sostanza riesce perfettamente a mantenersi in bilico sull'orlo di un baratro, senza mai perdere l'equilibrio.
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Messaggio da johnnyfichte »

Gentili colleghi corsri, come scrivevo a suo tempo, adesso sto leggendo la preannunciata tesi dal titolo "Location of identity".

Si aprono vari orizzonti di lettura sul tema: Kureishi, Rushdie di cui in particolare m'intriga l'idea alla base di "Imaginary Homelands". :think:

Mi è sorta una riflessione sulla relazione tra identità e diversità. Togliamo l'accento dall'idea di l'essere uguale agli abitanti della "Imaginary Homeland" che non esiste veramente mai come la immagina il migrante esemplificato da Samad Iqbal. Ickball :lol:

Spostiamolo per un attimo su quello di essere "diverso da chi ti circonda". Leviamo un po' di angoscia e siamo sul piano della Strategia: "Strategia è ciò che ti rende diverso da chiunque altro attorno a te."

E se diversità = strategia, pluralismo = molteplicità di strategie tentate.

Cioè "maggiore probabilità di individuare la strategia vincente" in un mondo che cambia in fretta e senza fermarsi a dare spiegazioni.

Espellere la diversità allora = dannarsi a scivolare verso gli ultimi posti e costringersi a chiedere agli altri "Ma voi come avete fatto nel vostro paese che noi non troviamo una soluzione decente ?"

:think: O no ? :think:
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Simona Busto
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Messaggio da Simona Busto »

Vediamo se riesco a raccogliere la riflessione.
Credo che il termine "strategia", almeno nel senso in cui lo intendo io, che non ho letto il testo a cui fai riferimento, contenga in sé una connotazione di scelta deliberata. :think:
L'identificazione tra diversità e strategia mi pare coerente per un personaggio come Samad Iqbal, mentre credo sia difficile da applicare ad altri, come Irie, che pare piuttosto subire la diversità. La sua strategia sarebbe piuttosto orientata ad uscirne, cosa che di fatto non le riesce.

Tu scrivi: <<E se diversità = strategia, pluralismo = molteplicità di strategie tentate.

Cioè "maggiore probabilità di individuare la strategia vincente" in un mondo che cambia in fretta e senza fermarsi a dare spiegazioni.

Espellere la diversità allora = dannarsi a scivolare verso gli ultimi posti e costringersi a chiedere agli altri "Ma voi come avete fatto nel vostro paese che noi non troviamo una soluzione decente ?" >>

Io penso piuttosto che espellere la diversità, in quest'ottica, significherebbe per il diverso accettare appieno il sistema di vita omogeneo, a costo di lasciarsi travolgere dal suo ritmo incalzante, senza porsi più domande, senza nemmeno più rendersi conto di aver sacrificato la propria peculiarità.

Non ne sono molto sicura, diciamo che ho provato a dare il mio punto di vista. :?
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Messaggio da johnnyfichte »

Simona ha scritto:scelta deliberata
E' vero. Perchè la diversità fiorisca occorre coltivarla con scelte deliberate.

Aggiungo che non basta deliberare per avere una strategia.

Secondo von Klausewitz se non si vuole avere una strategia folle occorre essere consci della propria filosofia, a questa commisurare una politica realistica, che verrà realizzata tramite una strategia, la quale dovrà disporre di una tattica adeguata per realizzarsi. L'identità è solo una strategia. Ma è veramente questo il nucleo vitale che dobbiamo proteggere ? Non si tratta forse di un mezzo per uno scopo più alto ? I nostri nonni ci tramandano solo dei modi o in realtà ci sono anche dei perchè che forse addirittura dominano gerarchicamente ?

Se non si trovano tattiche adatte occorre cambiare strategia, se non si trovano strategie plausibili occorre cambiare politica e se non si trova una politica idonea la propria filosofia è dannata. :|

Irie è giovane e sta ancora scoprendo la propria filosofia di vita. Pretendere da lei una strategia precisa è prematuro. Il viaggio in Jamaica è una gita "filosofica" da questo punto di vista, un tour di valori e mi è dispiaciuto che venissero spese poche parole sull'argomento. Forse Zadie Smith mantiene il suo invidiabile "equilibrio sul burrone" grazie anche all'attenzione ai dettagli e alle tattiche e al modo in cui decide di sfumare sui livelli più astratti della struttura dei propri personaggi. Ben illuminati in basso e più oscuri man mano che si procede verso l'alto. Secondo un gusto del ritmo e del chiaroscuro nelle piccole dimensioni che mi ricorda vagamente il Barocco Siciliano, un ibrido anch'esso.

Samad è vecchio ed un po' toccato e probabilmente la comicità/drammaticità del suo personaggio nel quale mi identifico a tratti è che le sue tattiche sono fallite in partenza e probabilmente la sua strategia è da rivedere ma lui non vi destina risorse critiche a sufficienza. :lol:

La storia del giovanile accidentale abuso di morfina non fa che sottolineare questa crepa nel personaggio. :suspect:
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ciucchino
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Messaggio da ciucchino »

Un libro bellissimo sulla vita di due amici, l’inglese Archie e il bengalese Samad, e le loro famiglie.
Lo scontro tra desiderio di libertà e bisogno di appartenenza è uno degli aspetti più interessanti del libro: il non voler dimenticare la propria cultura, la propria religione e il proprio passato rievocandolo continuamente (Samad) da un lato e dall’altro la ribellione di Irie che non ne può più di sentire i continui sproloqui di chi vive nel passato e non si rende conto di cosa gli succede intorno.
E’ un libro bellissimo perché ricco di personaggi stravaganti raccontati con ironia e umorismo senza dimenticare i problemi di chi si trasferisce in un altro paese e ha paura che le sue tradizioni e culture vadano perse.
Assolutamente da leggere!
"I libri li rubavo. I libri non dovrebbero costare nulla, pensavo allora e penso ancora oggi".
(Pascal Mercier, "Treno di notte per Lisbona)

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ranocchietta75
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Messaggio da ranocchietta75 »

Per chi vuole leggerlo,c'è il mio ring
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NON SPEDITEMI NULLA SENZA AVVISARE!
Meglio mail che non mp. Grazie.
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mikime
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Messaggio da mikime »

Aggiungo anche le mie impressioni mentre mi accingo a farne anche io un ring, però del volume in inglese (girerà per il mondo ma magari potrebbe partire con un giretto in Italia...) http://www.bookcrossing-italy.com/BCfor ... hp?t=17828

E' un libro brillante! :D Mi ci è voluto un po' per leggerlo, anche perchè un paio di ring sono sopraggiunti nel frattempo, ma ogni volta che tornavo a questo era come se fosse passato solo un giorno, tanto il racconto mi era rimasto chiaro in mente. Come altri dicevano, è la storia di una famiglia, o due, o tre, o anche più, attraverso un lungo arco di tempo ma per lo più durante il novecento.
Vediamo adoloscenti crescere e avere figli che a loro volta diventano adoloscenti tentando ancora di strecciare i nodi in cui già erano incappati i genitori. Emergono un'ottima capacità di introspezione dei personaggi e moltissime questioni serie, da quella dell'identità personale e del proprio gruppo etnico/religioso a quella, collegata, della ricerca dell'appartenenza, a quella dello scontro generazionale e della ribellione sia ai valori dei propri genitori sia a quelli del sistema, ma tutto è illuminato dall'umorismo dell'autrice che riesce con esso ad avvolgere le difficoltà dei personaggi e ad appianarle in qualche modo.
Il presente e la contemporaneità incappano continuamente nel passato e nella storia che rispuntano fuori quando meno li si aspetta e sconvolgono puntualmente, eppure credo che tutti i personaggi imparino alla fine ad affrontarli e trovino ognuno il suo modo per sentirsi parte del presente senza dimenticare il passato. Londra (l'Inghilterra) e il Bangladesh sono continuamente dapertutto intorno e dentro ai protagonisti e continuamente si incontrano, si scontrano, si fondono, ma anche la Jamaica non è così lontana.
Il finale è decisamente presentato in modo strano, lasciato aperto in modo molto particolare, a confermare la particolarità di quest'autrice e la sua vena umoristica. :wink:

A me ha ricordato moltissimo Rushdie (credo lo citi anche ma al momento non ricordo con precisione), ma dove lui è veramente epico, passionale e spesso drammatico pur nel suo umorismo, lei è divertente e in qualche modo delicata, con lo stesso tocco rivela grandi profondità emotive e intellettuali ed è pronta a farsene gioco, non permettendo a nessun personaggio di prendersi troppo sul serio.

Per rispondere a questioni poste più su: Non credo che Irie non attui nessuna strategia chiara nella ricerca della propria identità. Indubbiamente tende un po' alla passività, ad accettare il modo in cui gli altri la vedono, ma forse più che altro sceglie di rimanere aperta a stimoli esterni e non si irrigidisce nè su posizioni prestabilite nè sull'idea che lei stessa si è fatta di sè. Lei per prima forse decide di non fossilizzarsi e non prendersi troppo sul serio, come altri intorno a lei sembrano fare a volte.
:think:

Leggerò presto anche "On Beauty", dopo averne sentito qualche stralcio letto da Zadie Smith stessa qua a Roma sono proprio curiosa!

Miki
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Messaggio da capola »

il libro è molto carino, ma il finale mi ha lasciato piuttosto perplessa...consiglio vivamente "l'uomo autografo", veramente bello e divertente
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Tipperary
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Messaggio da Tipperary »

Onestamente a me non è piaciuto molto.. lo stile di scrittura mi ha affascinato, risulta molto fresco ma la trama mi lasciava spesso perplessa.. di sicuro è più godibile in lingua originale... :eh?:
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Vero Toro
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...it's a long way down to Tipperary...
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isaelda
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Messaggio da isaelda »

L'ho addocchiato in libreria tempo fa ma non ero convinta...adesso che ho visto diversi pareri positivi quasi quasi me lo leggo!

Grazie!
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isaelda

<< La gente ti chiede: come ci sei finita? In realtà, quello che vogliono sapere è se c'è qualche possibilità che capiti anche a loro. Non posso rispondere alla domanda sottointesa.>>
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Xenia
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Messaggio da Xenia »

io ho fatto molta fatica a leggerlo, e credo che un buon editor avrebbe potuto ridurre le pagine di un buon 50% :-)
il tema dell'integrazione culturale è interessantre, ma il passato di samad e Archi è secondo me troppo tirato per le lunghe, e spesso il pathos si diluisce rendendo la lettura poco emozionante.
Sicuramente leggerlo in originale avrebbe aiutato a mettere meglio a fuoco alcuni personaggi, o semplicementea ridere di più :)
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Messaggio da JamsODonnellToo »

Ieri ho finito di leggere questo libro (ring di mikime in lingua originale (grazie mikime!)). Ci sto ancora riflettendo, e probabilmente mi ha lasciato dentro piu' di quanto non abbia voglia di ammettere.

Fondamentalmente il grosso difetto della Smith e'.... la logorrea :lol: E' troppo lungo, 'sto libro! E' vero che la storia merita, e' vero che lo stile e' frizzante, ma e' anche vero che il tutto non aveva bisogno di cinquecento-bloody-quaranta pagine per essere raccontato, quindi da questo punto di vista quoto Xenia (ma esistono ancora i buoni editor? :think:). In alcune parti si dilunga troppo, e il racconto un po' si trascina, soprattutto nella prima meta'.

L'altra critica e' per questo voler prendere il lettore per mano e spiegargli tutto. Ma qua e' questione di gusti: personalmente mi irrita (molto) che lo scrittore apra una parentesi mentre racconta una storia, per dirmi "ehi, fai attenzione a questo passaggio, perche' piu' in la' sara' importante". Ma, veramente io... vorrei leggermi il libro in santa pace! Altra cosa che trovo snervante e' quando in un romanzo l'autore mette in mezzo la frase "perche' questa e' vita vera, mica un romanzo", o variazioni sul tema. C'e' anche questa in "White Teeth". Sgrunt. Nel finale, il miscuglio di eventi piu' o meno scontati e concidenze inverosimili al limite del paranormale, mi hanno lasciato un po' cosi'... sensazione Banana Yoshimoto :think:


Comunque per alcuni aspetti il libro e' veramente forte. Alcune scene sono esilaranti, e in assoluto, adesso che ci ripenso, la cosa che mi e' piaciuta di piu' e' il parallelismo tra i vari fondamentalismi: Hortensia e i suoi testimoni di geova, gli estremisti islamici, gli ecoterroristi, lo scienziato Marcus e il suo mentore... Tutti, senza esclusione, prima o poi nel libro fanno la figura degli emeriti idioti, come e' giusto che sia :lol:

Bella anche la descrizione dei rapporti inter-generazionali: che i genitori siano bianchi, afro o paki, ignoranti o colti, disinteressati o "involved", arriva il momento in cui il figlio adolescente deve spaccare tutto, o in alternativa almeno andarsene di casa. Bellissimo il monologo/scatto di nervi della 17enne Irie (il mio personaggio preferito) sull'autobus, con la sua convizione granitica e tremendamente adolescenziale che nella sua famiglia e solo nella sua ci sia qualcosa di veramente sbagliato, nelle altre no (lucky bastards!). Irie e' del '75, come me, a quest'ora avra' scoperto anche lei che gli scheletri nell'armadio ce li abbiamo tutti, ma proprio tutti :)

E quindi? Conclusione? Quante stelline gli daro'? :think: tutto sommato, credo sette. Ho una voglia tremenda di rileggermi "Il Buddha delle periferie" di Kureishi. Nel frattempo mi sono iscritta al ring di "On Beauty", nella speranza che Zadie Smith sia diventata un po' meno petulante!
Ultima modifica di JamsODonnellToo il mar mag 08, 2007 8:21 pm, modificato 3 volte in totale.
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Messaggio da JamsODonnellToo »

Simona Busto ha scritto:Io penso piuttosto che espellere la diversità, in quest'ottica, significherebbe per il diverso accettare appieno il sistema di vita omogeneo, a costo di lasciarsi travolgere dal suo ritmo incalzante, senza porsi più domande, senza nemmeno più rendersi conto di aver sacrificato la propria peculiarità.

hmmm :think: temo che, anche volendo, questo sia impossibile. O meglio: penso che la paura di un Samad di perdere la propria identita' di bengalese in Inghilterra, sia ingiustificata quanto la paura di un inglese di perdere la propria identita' di inglese a causa dell'alto numero di immigrati (ho scritto inglese, potevo scrivere italiano... e' uguale). E' questa paura che genera la chiusura e l'"espulsione della diversita'", che io intendo come un rifiuto ad accettare il semplice fatto che le usanze del posto in cui ti trovi un po' alla volta ti cambiano... come chi ti sta intorno un po' alla volta cambiera' qualcosa nella sua vita grazie a te (o a causa tua).
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Messaggio da Miss Piggott »

Lo sto leggendo adesso in inglese, e mi sta piacendo molto.
Devo dire che lo trovo così godibile che le volte in cui la Smith fa quello che in genere mi irrita (prendere il lettore per mano, come diceva qualcuno prima) nemmeno me ne accorgo perchè non vedo l'ora di scoprire quel che ha da dirmi...

Sono solo a meno di metà lettura per cui non posso ancora dare un vero giudizio sul libro, ma sono certa che questo è uno di quei romanzi che perdono un bel 40% della propria bellezza a causa della traduzione.
Impossibile rendere l'accento giamaicano di Clara e Hortense, la parlata "working class" di Charlie e lo stile invece colto e raffinato di Samad, il gergo dei bambini...
Tutto questo è parte fondamentale dei personaggi e quindi anche del romanzo. Tra l'altro, ogni volta che leggo un libro scritto da un autore originario delle ex-colonie inglesi, mi chiedo quando anche noi italiani avremo scrittori che sono figli di immigrati, e in che modo cambieranno la nostra lingua e la nostra produzione narrativa.
Attendo questo momento sperando che non tardi troppo (per esempio la generazione dei miei nipoti), potrebbe essere una ventata d'aria fresca nell'asfittico panorama letterario italiano... :?
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Messaggio da Xenia »

Tutto questo è parte fondamentale dei personaggi e quindi anche del romanzo. Tra l'altro, ogni volta che leggo un libro scritto da un autore originario delle ex-colonie inglesi, mi chiedo quando anche noi italiani avremo scrittori che sono figli di immigrati, e in che modo cambieranno la nostra lingua e la nostra produzione narrativa.
mah, in Francia ad es. non mi sembra che gli scrittori delle ex-colonie abbiano cambiato in modo sensibile la narrativa francofona, ma in realtà credo che la situazione italiana e quella inglese o francese siano cmq diverse, perché culturalmente parlando il background è diverso: un conto sono "immigrati" delle ex colonie, un conto sono immigrati tout court.
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Messaggio da Miss Piggott »

Temo di star portando la discussione OT con le mie osservazioni, però sono state suscitate dal libro, quindi mi scusate vero? :P

Xenia, non conosco il francese nè leggo molti libri scritti originariamente in questa lingua, pertanto non so se e come gli scrittori francesi di origine magrebina e africana abbiano modificato/arricchito la lingua e la produzione narrativa francofona.

Per quanto riguarda gli inglesi mi sembra evidente che sia così, e anche se noi non abbiamo "colonie" (e direi anche per fortuna) ciò non toglie che mi farebbe piacere vedere una generazione di scrittori italiani di origine straniera, che affrontino temi che nella nostra produzione letteraria sono poco o nulla toccati: i problemi di integrazione dei cittadini di seconda generazione per esempio, tema che si può trovare ormai non solo in scrittori di origine straniera in Gran Bretagna e in Francia (mi viene in mente Pennac, nei cui libri ci sono molti personaggi immigrati e figli di immigrati)
Ecco, io vorrei vedere anche questo nei libri italiani, e invece noi continuiamo a guardarci l'ombelico e a scrivere pseudo-saghe su famiglie borghesi quando ci va bene.
Gli stranieri sono parte integrante della nostra società, e siccome la narrativa è anche uno specchio della società in cui viene prodotta, così come l'italiano medio continua ad avere scarsi o nulli rapporti con gli immigrati (se non per comprare un kebab o un detersivo dal cinese dietro l'angolo) così anche nei nostri libri gli immigrati hanno un ruolo residuale.
E a me questo dispiace... Tutto qui. Fine dell'OT... :oops:
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Re: Zadie Smith - Denti bianchi

Messaggio da Therese »

Appena terminata la lettura. in generale mi è piaciuto, è scritto bene, i personaggi sono interessanti, la storia scorre bene, però, non so spiegarmi il perché, ho una sensazione di irrisolto, troppe cose restano allo stadio di superficie e non arrivano al nocciolo: il rapporto tra i gemelli, il contrasto tra immigrati di prima e seconda generazione che alla fine diventa più che altro un difficile rapporto generazionale (soprattutto con l'entrata in scena dei Chalfen), l'amicizia tra Clara ed Alsi di cui si perdono le tracce, non so, mi sembra che volendo introdurre tanti temi e puntando sull'evento finale unificatori, l'autrice finisca col perdere il vero centro della storia ed è un peccato perché alla fine resta un libro di gradevole lettura quando poteva essere qualcosa di più.
-...è solo che non ho tempo per leggere.
- Mi dispiace per te.
- Oh, non direi.Ci sono tanti altri modi per passare il tempo.
Giulio vorrebbe replicare che leggere non è "passare il tempo"...
(T. Avoledo)

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