
o sbaglio

Moderatori: liberliber, -gioRgio-, vanya
Stessi protagonisti, comprimari, luoghi, persino parole e slogan uguali
E c'è sempre la sfida all'ultimo voto con la foto di un elettorato spaccato
Gli eterni rivali nel Paese immobile
Anche fisicamente i 2 leader non sembrano aver subito il passare del tempo
di FILIPPO CECCARELLI
Come al solito: è già tutto successo, più o meno. Stessi protagonisti, identici comprimari, medesimi luoghi, uguali argomenti, equivalenti le atmosfere, gemelle persino certe frasi e certe parole che sono risuonate in una campagna elettorale fac-simile.
Dieci anni dopo, stesso mese di aprile: e non è per guastare la festa ai deboli vincitori, o per attenuare l'amarezza dei baldanzosi sconfitti, ma al di là del risultato, ed oltre ogni sua possibile e perturbante ambiguità, forse vale anche la pena di riflettere sul fatto che l'Italia politica del 2006 non è poi così diversa da quella del 1996.
Il solito paese spaccato a metà. Un'Italia straordinariamente capace di sembrare diversa rimanendo uguale. O se si vuole - ma non cambia molto - un 'Italia del tutto idonea a sembrare uguale restando diversa. In questo esito paradossale si misura (anche) il risultato di ieri, comunque frutto di una vita pubblica come minimo ingessata, per non dire decisamente e forse perdutamente invecchiata.
Contano poco, da questo punto di vista, i decimali. Quella manciata di seggi in più o in meno. Alla Camera e al Senato. Conta molto l'impressione di un cambiamento che non arriva mai. Il destino di un paese che appare vincolato a un equilibrio tutto sommato immodificabile. Perché gli anni passano, le emozioni crescono, però la storia finisce inesorabilmente per involtolarsi in un circolo vizioso. Oggi l'aviaria, ieri mucca pazza.
Anche nel 1996 si misurarono Prodi e Berlusconi. Avevano dieci anni di meno. Ma nel 2006 il Professore ha corso la maratona e il Cavaliere non appare poi molto cambiato d'aspetto per via del lifting e del trapianto di capelli. Sono due giovanili settantenni. Entrambi ormai pluri-nonni. Nessuno di loro al dunque ha pensato di chiamarsi fuori; né i cinquantenni gliel'hanno mai chiesto con determinazione. Ragion per cui, oggi come allora, sul proscenio ci sono Fini, Casini, Bossi - seppur malandato - D'Alema, Pannella, Di Pietro e Bertinotti, quest'ultimo dieci anni orsono già dotato di civettuolo portaocchiali a tracolla.
Tutto appare così fermo che non si fa fatica a elencare quelli che non ci sono più: Craxi, Andreatta, Tatarella. Non c'è più il Pds, né la lista Dini. Però ci sono i ds e Dini ha trovato posto nella Margherita. Non c'è più Theo, il cane che accompagnò Buttiglione a Porta a porta. Però nel frattempo Buttiglione è diventato ministro delle Belle arti. E prima del voto c'è sempre uno spin doctor americano a disposizione di chiunque lo assume.
Nulla si crea, è vero, e nulla si distrugge. Però, diamine: quest'anno Berlusconi ha dato dei "coglioni" agli elettori, ma nel 1996 qualificò come "stronzate" certe valutazioni di Prodi sul fatto di aver fatto soldi con una tv che trasmetteva "sesso e violenza". Consigliò allora Umberto Eco di "spegnere la tv". Però anche dieci anni orsono, esattamente come nei mesi scorsi, Berlusconi ha fatto il diavolo a quattro con la par condicio (che pure non era disciplinata con la legge vigente): "Ci discrimina - accusava - e uccide il paese".
Fu pure quella una campagna elettorale tanto combattuta quanto ingrata e crudele per i vincitori, primo fra tutto per il povero Prodi. Disse Bossi, a caldo: "Non durerà cinque anni". Ed era già una valutazione ottimistica. L'Ulivo cominciò a essere messo in discussione a pochi mesi da quella stentata vittoria. Il leader si trovò subito solo e messo in discussione. Sull'altro fronte accadde qualcosa di abbastanza simile. Per tacitare le ansie degli ex democristiani e dei post-missini, freschi di Fiuggi e di scissione, Berlusconi annunciò una specie di "passo
indietro". Gli credettero. La Lega intanto viaggiava nell'iper-uranio della secessione, raccogliendo l'acqua santa del Po in ampolle e solcando il grande fiume su di un catamarano.
Anche allora nelle prime ore dello scrutinio non si capiva bene chi aveva vinto, e perché. Ma quel che resta oscuro, oggi come nel 1996, è che cosa significa davvero vincere in un paese così intensamente fedele a se stesso. Un paese che si cerca senza mai trovarsi, e non di rado si perde nel suo stesso passato, incapace di guardare avanti. Anche allora, per dire la primizie contudenti, fu scagliata contro Prodi la seduta spiritica di Zappolino ("Ma come c'erano pure dei bimbi?"); e anche allora, per dire il livello elementare della ricerca del consenso, Mamma Rosa aprì l'album di famiglia per far vedere quanto era bello il suo fieu: "Tutte le sposine impazzivano per lui".
Intanto lui ridestava l'eterno anticomunismo. Con tutta probabilità commissionando quel Libro nero che da allora non ha mai smesso di menzionare e di far mettere in scena, pure alla Carlucci. Però anche allora, qualche settimana prima del voto, si mosse la magistratura. Nella primavera del 1996 venne fuori il caso Ariosto; così come in quella del 2006 il processo Mediaset.
Poi, sì, certo, l'Italia politica offre sempre qualche spettacolino rimarchevole. Così, per indiscutibili esigenze ecologistiche Marina Ripa di Meana mostrò la sua folta "pelliccia" pubica; Sgarbi & Pannella parvero impegnarsi in una improbabile "lista hollywoodiana"; Andreotti, con garbo (era ancora inquisito), suggerì di ripristinare la tassa sugli scapoli; Ornella Vanoni fece la dichiarazione di voto per Dini; D'Alema e i suoi futuri "Lothar", cioè Minniti e Velardi, presero a frequentare un certo sarto napoletano, molto raffinato; e Daniela Fini continuò a ostentare la minigonna, "e anzi - disse - più me lo dicono e più me l'accorcio".
Ma soprattutto: a distanza di dieci anni, merita sottolineare con il dovuto sgomento che la governabilità resta in Italia qualcosa di piuttosto indistinto, precario, evanescente. Non c'è legge elettorale, ogni volta, che non nasconda qualche trucchetto. Di solito uno schieramento prende più voti dell'altro, ma al dunque ottiene meno seggi. Con il che per l'intera legislatura il leader perdente è autorizzato a ricordare l'insolita condizione in cui la sorte lo ha posto. Nel frattempo le forme espressive della politica si sarebbero pure evolute, ma fino a un certo punto. Nel 1996 comparvero i primi telefoni "viva voce". Dieci anni dopo la politica vive in una sua dimensione anche telematica - e oltre ai pubblicitari sono ormai stabili gli psichiatri. Ma la partecipazione di base è crollata. I leader vivono in tv. Di Prodi si tende ad apprezzare, più che il programma, l'aggressiva bonomia. Così come del Cavaliere si nota la dieta e l'allenamento, tanto più dopo il "calo di zuccheri" messo in evidenza e perfino riconosciuto nel primo teleduello di dieci anni orsono, e nel primo del 2006, entrambi peraltro dall'esito incerto.
Anche allora il centrosinistra chiuse la campagna elettorale a piazza del Popolo, con la Dandini al posto di Bertolino; e anche allora Berlusconi si presentò come novello De Gasperi. Mentre fin dal 1996 Prodi fronteggiare la "questione romana", se sarebbe cioè venuto ad abitare nella capitale - e anche allora disse che no. Quindi, per prenderlo in castagna, gli chiesero dei "matrimoni omosessuali", ma solo perché la formula dei pacs non aveva corso. "Li ritengo impossibili" rispose. E pure allora il cardinal Ruini, che in verità pencolava verso il centrodestra, parve frenare per un attimo la sua oscillazione, in attesa di vedere come sarebbe finita.
In realtà in Italia nulla finisce e tutto continua. Così, la sera dei risultati in tv anche allora c'era - indovina indovinello - sì, c'era Bruno Vespa a officiare la liturgia dello scrutinio finale, con la dovuta apoteosi del talk-show. C'era già Piepoli, e la mortadella, e l'appello di Berlusconi ai valori cattolici, e Rosi Bindi che diceva che quali valori, quali cattolici, dopo tutto il Cavaliere era separato.
"I giornalisti amano immaginare che la storia si ripete, cosa che invece non succede mai" ha detto una volta, e giustamente, lo storico Piero Melograni. E però... Ecco, ci si limiterebbe qui ad azzardare l'esistenza di leggi generali, uniformità ricorrenti, ripetizioni che in qualche modo consentono di tirare fuori dai contesti una qualche forma costante, o rituale, se non altro. Come le polemiche, per dire, sulla distribuzione di rametti d'ulivo nelle chiese, la domenica delle palme.
Anche nel 1996 fu sollevata tale questione, peraltro irrisolvibile dal momento che il calendario liturgico non coincide con quello elettorale. O come il riconoscimento - ben più delicato ai fini della soluzione di eterni problemi - che basta un pugno di deputati per decidere la caduta di un governo o la nascita di un'altra coalizione.
E comunque: "Solo dei uperstiziosi cercano dei bis in idem - ha scritto del resto Franco Cordero - ma vale la pena studiare i punti analoghi perché hanno delle costanti le storie individuali e collettive". Così, cogliere queste pretese regolarità, ricostituire il senso dei fatti che si duplicano, districare il filo delle analogie appare al tempo stesso troppo facile e troppo difficile.
In questo gli archivi, come tutti i depositi di conoscenza disorganizzata, sono generosi amici, ma anche traditori spietati. Sì, nel dibattito televisivo del 1996 a Berlusconi capitò di dire esattamente le stesse (curiose, invero) parole ripetute l'altro giorno: sull'emozione che, da presidente del Consiglio, gli procurava la vista della bandiera italiana. Testualmente: "Le ginocchia mi facevano giacomo-giacomo". Allo stesso modo, ma con minore fantasia, le prime parole attribuite a Prodi dopo la vittoria - "Noi governeremo per tutti gli italiani" - corrispondono in maniera perfetta a quelle dell'appello finale del leader del centrosinistra.
Disse Berlusconi, il giorno dopo la sconfitta di dieci anni fa: "I conti non ci tornano". Bene. Può dirlo anche oggi. Ma la novità, se si vuole, è che nelle prossime ore può dirlo pure Prodi. Anche questo rientra nel potere della Ripetizione e della Noia. "Tutto tende a fermarsi, a fissarsi, a sclerotizzarsi - ha scritto Pietro Citati nel dicembre del 1996 - Così il nostro paese, che per molti aspetti è tanto mobile e vivace, è anche il più ripetitivo, luttuoso e monotono, incapace di mutare e di dimenticare. Continuiamo ad ascoltare parole che furono dette per la prima volta quarant'anni fa: già allora erano sciocche; e oggi ritornano immutate, immortali, sfidando qualsiasi esperienza".
shandy ha scritto:Io credo, molto più semplicemente, che nessun cambiamento possa derivare dalla politica parlamentare. I cambiamenti veri vengono da altri tipi di esperienze politiche, autonome e auto-organizzate.
Vittoria sì, ma vittoria di Pirro:Prodi ottimista: "Vittoria di un soffio, si può governare 5 anni, anche se sarà dura"
amencon questi numeri nessuno ha il diritto di gridare vittoria o sconfitta. con questi numeri lo pigliamo tutti (tutti) nel culo