Mi dia tre chili di Marquez e un paio d'etti di Borges...
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- shandy
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Come se non bastassero Feltrinelli, Mondadori, Fnac e quant'altro che assomigliano sempre più a supermercati del libro (manco della cultura, perché sinceramente penso che la cultura l'abbiano svenduta tutta ai saldi del 1985) ecco cosa ti scopro: http://www.librerie.coop.it/
Cioè, loro le chiamano proprio LIBRERIE quelle distese di best sellers e libri iperpubblicizzati che ricoprono un angolo dei loro super e ipermercati!
Orrore.
Cioè, loro le chiamano proprio LIBRERIE quelle distese di best sellers e libri iperpubblicizzati che ricoprono un angolo dei loro super e ipermercati!
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- Gwiwenneth
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Però meglio mangiare michette che niente, no? Le improvvide massaie almeno trovano il cestone e magari una su dieci viene punta dalla vaghezza di leggersi borges. Mica cotiche.




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si ok... ma se la michetta mi piace... ed e' in offerta... mica la rifiuto solo perche' e' di moda !
L'importante e' mangiarla anche quando non e' piu' in offerta al 3 per 2 !
E oi magari la voglia di leggeer viene anche alle massaie... al posto di vedere la de filppi si sorbiscono rosmunde pilkner o come si chiama quella.. ma almeno ... fanno funzionare la fantasia!
L'importante e' mangiarla anche quando non e' piu' in offerta al 3 per 2 !
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"Anyone who has never made a mistake has never tried anything new."
~Albert Einstein~
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- tilly77
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D'accordo con Gwiwenneth: se ci trovo i libri che mi interessano scontati, ben vengano! Vi dirò di più: non avendo mai un soldo quando compro libri lo faccio quasi esclusivamente al supermercato o nei mercatini, e sono una che solitamente non si getta sui bestseller (pur non disdegnandoli in toto). E quando con i libri un tot al chilo all'Iper riesco a portare a casa 5 libri che mi interessano a 10 euro, o i superpocket a 2-3 euro l'uno da Mediaworld sono contenta, me ne frego del dove li ho presi.
In libreria ci vado per segnarmi i titoli e cercarli in biblioteca...

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- shandy
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Il problema, dal mio punto di vista, è molto simile a quello sollevato dalla costruzione di immense multisala cinematografiche alle periferie delle città a scapito delle piccole sale cittadine. E, ovviamente, è strettamente legato al discorso "grande distribuzione".
Partendo da questo punto di vista, è vero che fare la spesa in un megamercato è più conveniente che farla nel negozietto sotto casa e più comodo che presso i produttori locali. Però sono false convenzienze e comodità, per diversi motivi. Per esempio, non è vero che nei supermercati c'è più "scelta" di prodotti. Sì, magari si trovano le fragole a gennaio, però se voglio fare una spesa "etica e sostenibile" (quindi con attenzione al lavoro di chi la cosa l'ha prodotta e all'ambiente, riducendo anche e soprattutto lo spostamento di merci in lungo e in largo per il pianeta) non rieco a farla. Per tornare ai libri, la massaia non troverà mai Borges, ma Bruno Vespa e la Littizzetto.
La grande distribuzione, in secondo luogo, è spersonalizzante. Non si ha contatto con nessuno, ci si riempie il carrello, si va a alla cassa e la sola parola che si pronuncia è "Grazie" alla cassiera che ci porge il resto. Provate a trovare un addetto a cui chiedere consiglio perché siete indecisi fra due titoli diversi! Lo troverete, eh, ma le risposte sono scoraggianti. La stessa cosa succede presso Feltrinelli e Mondadori, dove i commessi non sono più librai ma venditori di libri, la cui efficacia ed efficienza è giudicata su basi quantitative e non qualitative. L'azienda non chiede loro di "avere una cultura", ma di essere veloci per poter far fluire più clienti possibili alle casse per unità di tempo. Potrebbero vendere libri o cavolfiori e sarebbe la stessa cosa.
Tutto questo potrebbe anche lasciarmi indifferente se questo meccanismo non fosse una tenaglia che stritola il resto. Sto vedendo in queste settimane un amico che chiude la sua libreria, un posto meraviglioso in cui era possibile parlare di libri e di musica e di cinema, dove si era sicuri di trovare consigli competenti, perché i suoi lettori li conosceva quasi uno a uno e sapeva indicare loro le novità più interessanti secondo il loro gusto. E chiude perché in un paese di 7.000 abitanti c'è anche una Mondadori, quindi un'altra persona che ha deciso di aprire una libreria in un "mercato difficile", ma adifferenza del mio amico lo ha fatto con le spalle coperte, perché il franchising non assomiglia neanche lontanamente all'iniziativa privata.
E quando ci troveremo con solamente supermercati del libro, magari competitivi nei prezzi, ma senza più la possibilità di scegliere allora forse sentiremo la mancanza di un mondo che non esiste più. E non esisterà più, che è peggio.
I libri costano tanto? Lavoriamo a monte su questo problema, non sulla vendita al dettaglio, che è l'ultimo tassello, quello che incide meno.
A questo proposito, so che in Francia hanno una legge interessantissima (eh, grazie, hanno avuto Lang ministro della cultura...) ma di cui non padroneggio i dettagli. Mi informo e vi faccio sapere
Partendo da questo punto di vista, è vero che fare la spesa in un megamercato è più conveniente che farla nel negozietto sotto casa e più comodo che presso i produttori locali. Però sono false convenzienze e comodità, per diversi motivi. Per esempio, non è vero che nei supermercati c'è più "scelta" di prodotti. Sì, magari si trovano le fragole a gennaio, però se voglio fare una spesa "etica e sostenibile" (quindi con attenzione al lavoro di chi la cosa l'ha prodotta e all'ambiente, riducendo anche e soprattutto lo spostamento di merci in lungo e in largo per il pianeta) non rieco a farla. Per tornare ai libri, la massaia non troverà mai Borges, ma Bruno Vespa e la Littizzetto.
La grande distribuzione, in secondo luogo, è spersonalizzante. Non si ha contatto con nessuno, ci si riempie il carrello, si va a alla cassa e la sola parola che si pronuncia è "Grazie" alla cassiera che ci porge il resto. Provate a trovare un addetto a cui chiedere consiglio perché siete indecisi fra due titoli diversi! Lo troverete, eh, ma le risposte sono scoraggianti. La stessa cosa succede presso Feltrinelli e Mondadori, dove i commessi non sono più librai ma venditori di libri, la cui efficacia ed efficienza è giudicata su basi quantitative e non qualitative. L'azienda non chiede loro di "avere una cultura", ma di essere veloci per poter far fluire più clienti possibili alle casse per unità di tempo. Potrebbero vendere libri o cavolfiori e sarebbe la stessa cosa.
Tutto questo potrebbe anche lasciarmi indifferente se questo meccanismo non fosse una tenaglia che stritola il resto. Sto vedendo in queste settimane un amico che chiude la sua libreria, un posto meraviglioso in cui era possibile parlare di libri e di musica e di cinema, dove si era sicuri di trovare consigli competenti, perché i suoi lettori li conosceva quasi uno a uno e sapeva indicare loro le novità più interessanti secondo il loro gusto. E chiude perché in un paese di 7.000 abitanti c'è anche una Mondadori, quindi un'altra persona che ha deciso di aprire una libreria in un "mercato difficile", ma adifferenza del mio amico lo ha fatto con le spalle coperte, perché il franchising non assomiglia neanche lontanamente all'iniziativa privata.
E quando ci troveremo con solamente supermercati del libro, magari competitivi nei prezzi, ma senza più la possibilità di scegliere allora forse sentiremo la mancanza di un mondo che non esiste più. E non esisterà più, che è peggio.
I libri costano tanto? Lavoriamo a monte su questo problema, non sulla vendita al dettaglio, che è l'ultimo tassello, quello che incide meno.
A questo proposito, so che in Francia hanno una legge interessantissima (eh, grazie, hanno avuto Lang ministro della cultura...) ma di cui non padroneggio i dettagli. Mi informo e vi faccio sapere

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Concordo in pieno.E quando ci troveremo con solamente supermercati del libro, magari competitivi nei prezzi, ma senza più la possibilità di scegliere allora forse sentiremo la mancanza di un mondo che non esiste più.
Anche da me in città han chiuso tante storiche librerie schiacciate da quelle dei mille centri commerciali. E ciò è desolante.
Per fortuna che ne resistono ancora due gestite una da una vecchia coppia di fratelli una, e l'altra da una coppia di tranquillissimi e pacifici amici. La dfferenza con le librerie dei centri commerciali? E' semplicemente che nelle piccole librerie, la maggior parte delle volte, puoi entrare e chiedere un consiglio e un'indicazione su cosa leggere (se non si hanno idee precise). Puoi farti consigliare, guidare, suggerire...
Perchè per me un libro è quello che si legge, non quello che viene letto.
Quando ti mettono con le spalle al muro, non accontentarti: fatti incorniciare!
(Anonimo)
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E' brutto autocitarsi ma sono pigra, per cui copio e incollo da me stessa
Opinione personale: sono d'accordo che la scomparsa delle piccole librerie sia una grave perdita. Compro abitualmente da Feltrinelli ma bazzico regolarmente Utopia (che a Milano è una grande risorsa).
Non sono sicura che l'integralismo paghi, tendenzialmente penso che con un sensato fermo alle riduzioni si posano salvare capra e cavoli. La coop poi non è un'associazione benefica e lo sappiamo, ma oltre a spacciare best seller promuove anche inziative per me meritevoli come Ad alta voce che consentono l'incontro con autori non solo da best seller.
Quanto al fatto che la cultura non sia una merce tra le altre non posso che essere d'accordo ma è evidente che nessuno, neanche le case editrici (tranne qualche piccolissima eccezione), ragiona in modo diverso e questo perché i libri si vendono.
Mi fa decisamente più arrabbiare che i best seller pullulino nelle biblioteche, gli unici luoghi dove forse si potrebbe avere il coraggio di uscire dalle logiche commerciali
Come dire che ogni medaglia ha il suo rovescio.In Francia esiste una legge, varata venticinque anni fa da Jack Lang, secondo la quale è vietato applicare ai libri riduzioni maggiori del 5% del loro prezzo. Si tratta di una legge che mirava a proteggere le piccole librerie di fronate all’avanzare della grande distribuzione.
Tra le conseguenze però, viene sottolineato l’effetto negativo sui piccoli editori che come accade in Italia presentano i loro libri a prezzi più alti e sono privati in questo modo della possibilità di affettuare vendite promozionali.
Opinione personale: sono d'accordo che la scomparsa delle piccole librerie sia una grave perdita. Compro abitualmente da Feltrinelli ma bazzico regolarmente Utopia (che a Milano è una grande risorsa).
Non sono sicura che l'integralismo paghi, tendenzialmente penso che con un sensato fermo alle riduzioni si posano salvare capra e cavoli. La coop poi non è un'associazione benefica e lo sappiamo, ma oltre a spacciare best seller promuove anche inziative per me meritevoli come Ad alta voce che consentono l'incontro con autori non solo da best seller.
Quanto al fatto che la cultura non sia una merce tra le altre non posso che essere d'accordo ma è evidente che nessuno, neanche le case editrici (tranne qualche piccolissima eccezione), ragiona in modo diverso e questo perché i libri si vendono.
Mi fa decisamente più arrabbiare che i best seller pullulino nelle biblioteche, gli unici luoghi dove forse si potrebbe avere il coraggio di uscire dalle logiche commerciali
tutto questo è vero in parte.
perchè da me le librerie resistono e quasi prosperano (ok, ho esagerato) è questione di fortuna e di differenziazione del prodotto. Quando vado a forlì cerco di comperare nelle piccole librerie (anche di usato) ma spesso loro non hanno il tale autore e sono costretta ad andare alla Mondadori, a casa mi succede il contrario.
E Shandy, no i prodotti culturali non sono uguali agli altri. Non possono esserlo. Non devono esserlo.
perchè da me le librerie resistono e quasi prosperano (ok, ho esagerato) è questione di fortuna e di differenziazione del prodotto. Quando vado a forlì cerco di comperare nelle piccole librerie (anche di usato) ma spesso loro non hanno il tale autore e sono costretta ad andare alla Mondadori, a casa mi succede il contrario.
E Shandy, no i prodotti culturali non sono uguali agli altri. Non possono esserlo. Non devono esserlo.
Sai che le persone non possono vivere senza amore? Beh, l'ossigeno è ancora più importante
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- shandy
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I prodotti culturali non sono come gli altri perché esiste un principio che dà loro uno statuto particolare nell'economia di mercato: l'eccezionalità culturale.
Il costo di produzione di un prodotto culturale non è amortizzabile sulla quantità di esemplari prodotti. Perché il prodotto culturale è unico. Le altre sono "riproduzioni" ma non sono la stessa cosa.
Da qui si può anche partire con un'interessante riflessione sul concetto di diritto d'autore, che ad oggi è applicato non all'opera ma alla sua riproduzione. Ma forse ci si allarga troppo
Il costo di produzione di un prodotto culturale non è amortizzabile sulla quantità di esemplari prodotti. Perché il prodotto culturale è unico. Le altre sono "riproduzioni" ma non sono la stessa cosa.
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L'eccezionalità culturale però non tocca i costi di produzione, almeno in Italia, dove il costo dei libri dei piccoli editori è sensibilmente più alto rispetto a quello dei grandi, proprio a causa di queste spese. Stampare un libro in 500 copie non costa meno di stamparlo in 1500, anzi il contrario (e parliamo solo di spese nude, tralasciando del tutto il dirirtto d'autore). Questi costi, in mancanza di una politica di sostegno alla piccola editoria si riversa interamente su chi acquista il libro.
D'altra parte c'è anche da chiedersi se un intervento di finanziamento non finirebbe col fare all'editoria quello che ha fatto al cinema, dove non mi pare abbia avuto grandi risultati.
Sarebbe intanto auspicabile l'abbattimento dell'iva sui libri...
D'altra parte c'è anche da chiedersi se un intervento di finanziamento non finirebbe col fare all'editoria quello che ha fatto al cinema, dove non mi pare abbia avuto grandi risultati.
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- shandy
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Infatti. Per questo credo che accontentarsi di comprare libri dai grandi distributori perché costa meno non sia la soluzione. Intanto perché non incide nel vero problema e poi perché i piccoli editori sono completamente massacrati dalla grande distribuzione.Questi costi, in mancanza di una politica di sostegno alla piccola editoria si riversa interamente su chi acquista il libro.
L'idea di abbattimento dell'iva può essere una soluzione.
E l'idea di sostegno alla produzione può funzionare. Se nel cinema italiano non ha finzionato è, anche, per problemi strutturali e di sostanza del nostro cinema. In Francia e Belgio, per esempio, funziona da dio e i film prodotti in quesi paesi sono tanti e di ottima qualità, nella maggior parte dei casi.
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L'idea di abbattere l'iva è una buona soluzione. Ma non mi piace l'aiuto statale. Proprio come è stato detto in Italia i risultati purtroppo sono disastrosi.
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Aggiungo che non mi piace l'idea di cultura di stato. Se le logiche di mercato hanno un'influenza decisiva (e nociva) nella scelta dei titoli da pubblicare, altrettanto può averne la politica. A parte l'immagine terrificante di Gasparri che sceglie a chi dare i finanziamenti, si può pensare all'effetto che ha avuto nelle repubbliche sovietiche dove è stato sì dato un sostegno essenziale alla cultura, ma è stato soffocato anche tutto quel che non aveva il bollino statale.
E' chiaro che l'Italia di oggi non è la Cecoslovacchia degli anni '50, ho estremizzato solo per chiarire la mia preoccupazione verso un paese come il nostro che continua ad avere una concezione di cultura (anche civica, direi) ben lontana da quella dei francesi.
E' chiaro che l'Italia di oggi non è la Cecoslovacchia degli anni '50, ho estremizzato solo per chiarire la mia preoccupazione verso un paese come il nostro che continua ad avere una concezione di cultura (anche civica, direi) ben lontana da quella dei francesi.
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Aspettaspettaspetta...
Quando si parla di aiuti di Stato bisogna che capiamo di cosa stiamo parlando.
In Svezia, altro esempio cinematograficamente virtuoso, gli aiuti di Stato sono attribuiti da una commissione composta da diverse figure, espressione del mondo politico, culturale, economico. Ogni membro della commisisone ha a disposizione un budget che può decidere di attribuire a uno o più progetti. Poi il funzionamento esatto dovrei andare a rileggermelo, ma è chiaro che in questo modo non c'è un'influenza univoca nella produzione (solo politica, solo economica, solo culturale, col finanziamento di progetti BELLISSIMI ma che poi andranno a vedere solo 8 cinefili invasati...)
E la cosa funziona!
Quando si parla di aiuti di Stato bisogna che capiamo di cosa stiamo parlando.
In Svezia, altro esempio cinematograficamente virtuoso, gli aiuti di Stato sono attribuiti da una commissione composta da diverse figure, espressione del mondo politico, culturale, economico. Ogni membro della commisisone ha a disposizione un budget che può decidere di attribuire a uno o più progetti. Poi il funzionamento esatto dovrei andare a rileggermelo, ma è chiaro che in questo modo non c'è un'influenza univoca nella produzione (solo politica, solo economica, solo culturale, col finanziamento di progetti BELLISSIMI ma che poi andranno a vedere solo 8 cinefili invasati...)
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- Iorek Byrnison
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- Località: Graz, Austria. No, non ho perso una scommessa.
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