



1) Bundi, partita di cricket alla tv
2) Fatehpur Sikri, Jami masjid
3) Agra, dalle parti del Taj Mahal
4) Haridwar, la pujia serale
et voilà, solo per voi (in uno dei suoi rari momenti di calma)le guide nascondono a tutti questo gioiello di indianità, custodito come un prezioso segreto che solo pochi intenditori sanno apprezzare
L'amore che si coglie nelle parole di Mehta per la sua città, la città che ha dovuto abbandonare ancora ragazzino ma nella quale si è sposato e ha voluto portare i suoi figli, la città che gli ha chiesto la "tassa del traditore" – il sovrapprezzo per i servizi a cui hanno accesso con difficoltà gli indiani americanizzati, trattati come turisti –, rende Bombay più vera che mai. Ciò che Mehta sceglie di raccontare con la sua opera d'esordio è un se stesso immerso nelle folle dei treni, delle file per ottenere gas e acqua, ma anche un se stesso a confronto con personaggi estremi che rappresentano l'India contemporanea.
La carriera di un giovane provocatore, affiliato al partito nazionalista Shiv Sena, da assassino e capo-rivolta a responsabile figura di rilievo nell'amministrazione locale, i sogni di una ballerina di night-club e di un travestito che vivono una vita "al limite" e rappresentano le classi sociali in ascesa a Bombay. Alla città del piacere, notturna, si contrappone nettamente la scelta silenziosa, fatta quasi in punta di piedi, di una famiglia di religione jain che sta per abbandonare il mondo e ritirarsi a vita meditativa. Questa scelta contrasta con la vita caotica, movimentata, sempre sul filo del rasoio dei vari personaggi che Suketu Mehta non si limita a intervistare, ma segue tra i marciapiedi, negli slum, sui taxi di Bombay, fino a casa loro. Con loro vive e tutto questo gli fornisce il materiale di cui il reporter e lo storico necessitano, ma a cui il narratore di talento non può fare a meno di aggiungere quella inconfondibile impronta di autenticità e profonda comprensione.
Così gli slum appaiono come veri e propri villaggi dove solo la solidarietà tra individui ne garantisce la sopravvivenza; i poveri, gli immigrati dal Bihar sono i nuovi emarginati che affollano la città, tra loro un ragazzino che vive di espedienti e aspira a divenire poeta, tanto da rifiutare lavori al chiuso per non perdere la presa diretta su fatti ed eventi che accadono per le strade, dove si svolge la vera vita di Bombay. Sebbene Mehta affronti vite al limite tra legalità e crimine, tra generi sessuali, tra la vita e la morte, tra onestà e corruzione, queste non sono storie "esotiche" o "atipiche", si tratta infatti non dell'underworld di Bombay, come è stato detto da alcuni critici, ma della vita che si svolge alla luce del sole, che è Bombay e non la sua faccia nascosta.
Come spesso accade, poi, a chi si confronta con una grande metropoli, Mehta s'interroga anche sulla propria identità e appartenenza, dopo ventun anni di assenza, nel costante confronto con la vastità del meccanismo urbano, con l'assurdità di un sistema burocratico che il figliol prodigo, newyorkese, non comprende appieno. La Bombay ritrovata è incarnazione di un sogno collettivo, è il luogo dove ciascuno può realizzare il proprio sogno, è la città dalle infinite possibilità, dove il singolo entra in antagonismo con la folla, ma per uscirne arricchito e non schiacciato: "La Battaglia di Bombay è la battaglia del sé contro la folla. (…) È la battaglia dell'uomo contro la Metropoli. (…) siamo individualmente multipli, e in una solitudine plurale. (…) La folla è il sé".
Carmen Concilio