"Il viaggiatore" - Stig Dagerman

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Towandaaa
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"Il viaggiatore" - Stig Dagerman

Messaggio da Towandaaa »

Non ho mai letto pagine in cui il pessimismo dell'autore raggiunga i livelli di quello di Dagerman: non si intravede nemmeno un piccolissimo spiraglio di speranza, niente lascia supporre che almeno qualcuna delle vicende narrate possa volgere non dico verso un happy ending, ma almeno verso un parziale cambio di rotta. Si comprende quindi il gesto estremo dell'autore: se la sua visione del mondo era veramente quella che traspare da questi racconti, senza la benchè minima possibilità di riscatto, non poteva esserci per lui altra via di uscita che il suicidio. Significativa in tal senso è l'interpretazione data a pagina 68 di un dipinto raffigurante un gruppo di ragazze intente a raccogliere fiori: quella che avrebbe potuto essere in sè una rasserenante scena bucolica viene invece descritta in termini che definire estremamente pessimisti sarebbe solo un blando eufemismo: "...non aspettavano altro che di invecchiare. Sedute tra i fiori intrecciavano corone per le loro bare".
Per il mio modo di essere e di pensare però, tutto questo è un po' troppo: non nego che il mondo sia stato, sia tuttora e continuerà ad essere pieno di ingiustizie, di umiliazioni, di sofferenze, ma sono convinta che sia sempre possibile fare qualcosa per migliorare la condizione umana, anche nei casi in cui sembra che di umano non abbia più niente. Ciò di cui invece avverto più prepotentemente la mancanza, nei personaggi di Dagerman, è proprio la volontà di riscatto, quindi, almeno dal punto di vista dello spirito che anima questo libro, il mio giudizio tende a volgere verso il negativo.
Ma, tentando di collocarmi nell'ottica di un pessimismo cosmico ed ineluttabile, devo riconoscere che l'espressione che di tutto ciò l'autore ha dato è veramente pregevole.
In particolare, quello che mi ha colpita è il concetto della nullità, che partendo da considerazioni di carattere economico finisce per travolgere la fisicità stessa della persona, in una climax discendente che termina con l'annientamento: non possiedi niente, non vali niente, sei uno zero, e come tale invisibile, e come tale, in ultima analisi, inesistente.
Questo tema ricorre più volte, anche in raconti diversi (in particolare ne "L'auto di Stoccolma" e ne "La scacchiera da viaggio") ed è veramente l'esplicitazione estrema di un pessimismo altrettanto estremo, tale da tradursi in una valutazione in senso assoluto.
Altre volte invece ricorrono immagini che mettono in luce la miseria secondo un procedimento relativo, che sono il risultato di un confronto tra gli stessi aspetti della vita (anche apparentemente insignificanti) ma in contesti diversi. Esemplare in tal senso è l'atto di scrivere il proprio nome su un libro scolastico: chi può permettersi di comprare libri nuovi lo fa in uno stampatello ben marcato, chi compra libri usati lo fa a matita, per poter poi rivenderli a un prezzo migliore.
Dunque, a mio modesto avviso e in estrema sintesi: troppo estremizzato lo spirito di fondo, ma veramente pregevole e originale l'espressione.
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