

Lo devo far leggere ad un amico: ha passato mesi della sua vita a scarbbocchiare in classe

Moderatori: liberliber, -gioRgio-, vanya
Vivo per miracolo.
Chi, come il sottoscritto, ha bellamente passato la boa dei quaranta, farebbe bene a guardare al futuro; non perché sia un futuro gravido di promesse, piuttosto perché il passato, specialmente quello remoto, è un luogo di rischi e di terrore dal quale è stato miracoloso uscire vivi, e volgersi indietro porta alle soglie della follia.
Esagero? Considerate qua.
Da bambino, in auto, viaggiavo seduto in braccio al passeggero davanti, praticamente facevo da air-bag alla mia mamma. Di cinture di sicurezza neanche a parlarne, e -quando ben le hanno inventate- erano infernali legacci non-pre-tensionati che servivano a strangolarti, in caso di urto al quale avresti potuto sopravvivere. L’auto su cui viaggiavo non aveva ABS, EDS e tutte le qualcosa-S che oggi ci rendono sicuri (dobbiamo ancora schiacciare il freno per non spatasciarci contro il muro, ma presto ci sarà tolta anche questa gravosa incombenza).
Non ho mai neppure pensato –né i miei genitori mi hanno mai indotto a farlo- che per salire su una bicicletta occorresse mettere un casco. Né su uno skateboard, né su pattini a rotelle (quelli su due file). Ho sbucciato le ginocchia fino a scarnificarmi (nella rotula destra credo di avere ancora della ghiaia) senza rendermi conto che, senza casco, rischiavo la vita e danni all’asfalto del Comune.
Ho rischiato non so quante influenze: le vaccinazioni al tempo erano per vaiolo, polio, tubercolosi e peste bubbonica, praticamente ti vaccinavi solo per non essere fulminato e fare contemporaneamente una strage propagando un’epidemia: sono stato quindi per anni a rischio di febbre, magari vomito, e –non oso pensarlo- addirittura una settimana a casa da scuola. Oggi non è più così, ma ho rischiato brutto.
Bevevo, ignaro, l’acqua del rubinetto. Nessuna multinazionale mi salvava la vita imbottigliandola e analizzandola una volta ogni sei mesi (il municipio la controlla ogni mese, ma vatti a fidare: vuoi mettere, ujna multinazionale?), operazioni per le quali oggi son ben contento di pagare quell’acqua centotrentasettemila volte il suo costo alla fonte; mi pare davvero il minimo, per la sicurezza.
Quando andavamo a sciare non avevamo lo ski-stop, ma degli infernali cordini che tenevano legati i polpacci allo sci; se cadevi, gli sci ti mulinavano intorno con le loro simpatiche lamine, oppure il cordino si spezzava e lo sci volava verso fondovalle ad ammazzare qualcuno in coda alla seggiovia.
Noi ragazzini giocavamo a pallone, le ragazzine a “mondo” o a “elastico”: tutti rigorosamente in strada. Quando arrivava la macchina, una ogni mezzora, probabilmente sempre la stessa, la sentivamo e ci spostavamo, per poi riprendere il nostro gaio trastullo. Oggi assomiglierebbe a una partita a Frog.
Per tornare a casa attraversavo in bici il Parco Lambro, per un tragitto di circa venti minuti durante il quale, oggi, collezionerei l’incontro con una mezza dozzina di pedofili, sette-otto banali rapinatori e un paio di pedofili e rapinatori, son tempi di crisi e va il doppio lavoro.
Le prese non avevano la terra, e il salvavita non c’era: in caso toccassi la corrente, potevi stare attaccato finché non ti cadevano le dita carbonizzate.
A Gatteo Mare ho passato giornate a giocare a nascondino nel parcheggio dell’Hotel Plaza, sotto scintillanti e cancerogeni tetti di eternit.
Quando si rompeva un termometro, era naturale giocare col mercurio che ne usciva.
Insomma, se ci penso non so come sia uscito vivo da quegli sconsiderati tempi. Forse sono Nembo Kid; scusate, volevo dire Superman (dannati anni '70!).
(Un grazie al think tank dei Mondaypals, Andrea, Giorgio e Yuri su tutti, per avermi aiutato a ricostruire quegli anni di orrore.)