Il tema della diversità (così come quello della difficoltà nell’accettarla) non è certo facile da affrontare senza il rischio di cadere in luoghi comuni, banalizzazioni, toni drammatici e patetici ma senza costrutto. Ma Kim Edwards è riuscita ad evitare tutto questo, costruendo un romanzo che emoziona e coinvolge, in cui il lettore si sente naturalmente solidale con i protagonisti, nonostante alcune loro scelte sbagliate, ed è portato lentamente a comprendere le ragioni, i motivi che le hanno determinate, senza lasciarsi andare a giudizi morali od etici. E’ infatti l’autrice stessa, per prima, a non prendere posizione in questo senso, creando personaggi convincenti e reali a partire da un’idea che le era stata affidata, che ha coltivato per anni senza concretizzarla e che poi, all’improvviso, ha preso forma in questo romanzo, nato, come Kim Edwards stessa afferma, dalla volontà di sapere chi erano veramente questi personaggi e come si sarebbero sviluppate le loro vite dopo la drammatica decisione che segna l’incipit della storia (intento efficacemente descritto con l’immagine del sasso gettato nell’acqua: “non è il sasso a essere interessante, ma i cerchi che gli si formano intorno e che sono le vite dei protagonisti”).
Ecco dunque che una decisione (quella di separare alla nascita due gemelli, affidando la bimba affetta dalla sindrome di Down all’infermiera affinchè sia ricoverata in un istituto per minorati) presa a caldo dal padre, unilateralmente e all’insaputa della madre (alla quale comunica che la bimba era morta), segnerà per sempre le vite di tutti i personaggi coinvolti. I due coniugi vedranno progressivamente calare tra loro un muro che li allontanerà sempre più. Lui, schiacciato dalla responsabilità della sua iniziativa (pur se dettata dal genuino e appassionato desiderio di evitare alla moglie e al figlio i dolori che hanno segnato l’esistenza dei suoi genitori e di lui stesso in una analoga esperienza familiare) che si getta nel lavoro e nella passione per la fotografia estraniandosi dalla famiglia. Lei, mai definitivamente ripresasi dal vuoto causato dalla perdita della figlia, che scopre di non conoscere affatto il marito e che dopo una serie di storie senza importanza, ad un passo dall’orlo dell’alcolismo, finisce per dedicare tutta se stessa ad una occupazione lavorativa che la allontana sempre più dalla famiglia. Il figlio, cresciuto avvertendo la totale disarmonia tra i genitori, di cui percepisce solo gli effetti (non essendo, come la madre, a conoscenza della causa) e portato, anch’egli, a trovare una propria strada autonoma.
Contemporaneamente si assiste anche allo svilupparsi della storia, diciamo così, sull’altro fronte: quello dell’infermiera che ha deciso di allevare la bambina come sua, con tutte le difficoltà che ciò comporta (e a maggior ragione comportava negli anni ’60) per una donna single, “madre” di una bambina “diversa”, battendosi coraggiosamente perché le siano riconosciuti il diritto a frequentare la scuola pubblica, a trovare un lavoro adeguato alle sue capacità e in più, come se già non bastasse, premurandosi di tentare qualche avvicinamento nei confronti del vero padre, per chiarire la situazione tanto complicata in cui si è trovata per una sua scelta che non ha comunque mai ripianto.
I destini di questi personaggi torneranno ad incontrarsi, in un epilogo denso di emozioni difficili da affrontare e accettare ma comunque illuminate anche da un velo di speranza e di ottimismo.
Un libro che in più occasioni mi ha commossa, per l’intensità dei sentimenti che emergono prepotentemente dalle righe e per il tono con cui vengono descritti. Tra i molteplici momenti ad alto contenuto emotivo, quello che più mi ha toccato è stata la reazione del figlio ormai adulto alla rivelazione: dopo essere cresciuto nutrendosi di astio e rancore nei confronti dei genitori, dopo aver sempre percepito che un’ombra indefinita minava la possibilità di vivere in una famiglia felice, avrebbe potuto, pur sbagliando, rifiutarsi di accettare la nuova situazione, concretizzare in essa finalmente e a posteriori il motivo del suo progressivo allontanamento dai genitori. Invece, pur dopo qualche iniziale preoccupazione (che rende il personaggio ancora più credibile e umano) finisce per avvicinarsi alla sorella in un modo che non può non toccare profondamente.
"Figlia del silenzio" - Kim Edwards
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mi dispiace tilly, ma mi era stato prestato 

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Re: "Figlia del silenzio" - Kim Edwards
Se dovessi descrivere questo libro con una parola sola, forse utilizzerei il termine "toccante". Però una parola sola non gli renderebbe giustizia. Ho cominciato a leggerlo ricordando solo vaghi accenni della trama, e già a poche pagine dall'inizio mi sono ritrovata a commuovermi ed arrabbiarmi. In un breve lasso di tempo incontriamo David, Norah e Caroline. 3 persone così diverse e così ugualmente fragili. Eppure David con una razionalità incredibile -o più di una punta di follia- non esista a passare la sua bimba a Caroline e, nel pazzesco tentativo di 'sollevare' Norah da ciò che crede potrebbe rendere la loro vita impossibile, si getta a capofitto nel racconto di qualcosa di doloroso e incancellabile, come la morte. I miei sentimenti nei confronti di David nel corso della lettura, sono rimasti più o meno gli stessi. Non rabbia o biasimo nei confronti del suo gesto, ma compassione per un uomo che ha deviato il corso della propria vita e di quella di sua moglie e suo figlio in un vicolo cieco fatto di silenzi estremi, rimpianti e rimorsi, lacrime e conflitti.
Il libro è di una delicatezza impressionante, ed in più punti mi sono ritrovata commossa nel leggere la tristezza di Norah, la determinazione di Caroline, la forza di Phoebe, la solitudine di Paul. Davvero bellissimo.
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Liz
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