Dalla quarta di copertina:
Francesca è una ragazza che abita in un piccolo paese del Sud dell’Italia e lì vive il dramma di una gravidanza che lei desidera fortemente ma che i genitori, e in particolare la madre, non accettano e contrastano. Questa circostanza e la solitudine che ne conseguirà, in breve tempo le permetteranno di avere una visione completa del reale che prima non era riuscita a cogliere e la costringeranno a diventare adulta, attraverso un percorso di maturazione lungo e doloroso. Questo romanzo è la celebrazione della vita contro tutti i luoghi comuni e i pregiudizi. Essere embrioni è uno stadio della nostra esistenza, la legalizzazione dell'aborto è solo la drammatica soluzione di una società che ha fallito nel trasmettere consapevolezza e informazione.
L'argomento è delicato, il punto di vista è espresso in modo decisamente chiaro...copio il mio commento post lettura:
Letto tutto d'un fiato, questo racconto (è talmente breve che non riesco a definirlo romanzo) mi lascia un po' spiazzata su come commentarlo. Dal punto di vista stilistico non ho nulla da obiettare, l'autrice ha saputo tratteggiare bene un paesaggio e una serie di personaggi più o meno fondamentali nella storia, su tutti ho apprezzato molto la figura del padre di Francesca. Discorso a parte andrebbe fatto sul tema. Il libro parla infatti dell'aborto, prendendo una posizione più che definita a riguardo. Come ogni opinione può essere condivisa o meno, ma più di una volta mi sono trovata a irritarmi durante la lettura, per la durezza con cui venivano trattate le obiezioni o i pareri contrari. Sarà che sono per natura tollerante, ma non mi piace veder condannata a priori un'idea diversa dalla propria. Ci sono mille ragioni che possono portare a prendere una decisione tanto difficile e dolorosa, ragioni che nessuno può davvero comprendere, tranne chi vive l'esperienza in prima persona, tanto che, pur non essendo una fan sfegatata dell'aborto, non mi sento di condannare una donna che decide di interrompere la gravidanza. E tanto meno penso che sia sbagliato avere una legge che permette di farlo, dal momento che gli aborti venivano praticati anche prima, in condizioni decisamente peggiori e più rischiose per la donna. Non riesco a vedere tutto ciò come una mancanza di civiltà, al contrario.
Piuttosto, forse sarebbe meglio porre un accento sulla prevenzione, per evitare di dover ricorrere poi a questa estrema soluzione.
Insomma, pur avendo apprezzato il racconto e la coraggiosa scelta fatta dalla protagonista, sono meno d'accordo con l'intransigenza che trapela a volte tra le righe.
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