Questo romanzo all’inizio mi aveva ingannata: credevo di trovarmi di fronte ad un alter ego di Montalbano, questo Caruso ricordava anche i tratti nostalgici che il commissario ha assunto ultimamente con l’avanzare dell’età e con l’accrescersi della debolezza verso il gentil sesso, e invece….a lettura conclusa mi sembra che l’approccio più sbagliato sia proprio quello di affiancare i due personaggi.
Da un confronto tra i due Montalbano ne uscirebbe facilmente vincitore (naturalmente, secondo me !) perché quello che mi è sempre piaciuto del commissario è il grande valore che egli attribuisce alla giustizia e alla necessità di fare chiarezza nell’ambito dei crimini con cui si confronta, al punto talvolta anche di piegare il rigore delle procedure legali se ciò può essere utile al raggiungimento di una soluzione che porta quanto meno ad una giustizia di fatto; disposto quindi anche a violare, se necessario, la legge, nella prospettiva di uno scopo più meritevole, anche quando ciò significhi mettere a repentaglio la propria carriera.
Caruso invece cosa fa ? Si lascia portare, burattino consapevole ma pur sempre burattino, in un gioco delle parti orchestrato da poteri più grandi, dal corso degli eventi (proprio come nel motto “il corso delle cose è sinuoso” che sottende al romanzo “Il corso delle cose”). Segue pedissequamente le regole (che in questo caso non sono né le leggi dello Stato né le norme della deontologia professionale) sugli equilibri da mantenere per compiacere o almeno non intralciare nessuna delle parti in gioco, non fa niente per dare una svolta ad una situazione che non gli piace.
La sua passività, la sua acquiescenza a ciò che era già stato preordinato da altri, me lo hanno reso piuttosto antipatico (paradossalmente, preferisco i personaggi che vivono attivamente il proprio cinismo ed egoismo !) e questo sentimento è risultato un po’ mitigato solo nei momenti in cui ha dimostrato la propria fragilità, il proprio amore non ancora spento nei confronti della moglie. In definitiva, una volta ottenuto uno stato di quieto vivere e recuperato il legame affettivo che gli interessava, ha lasciato perdere tutto ciò di cui era stato spettatore ed anche attore, pago della relativa tranquillità nel proprio orticello.
Non da meno sono tutti gli altri personaggi: tutti meschinamente protesi alla realizzazione del proprio interesse, incuranti delle conseguenze sugli altri che ciò possa determinare. E, dal punto di vista più strettamente letterario, tutti rimasti ad un livello di semplice abbozzo, perché il loro agire ed esprimersi appare funzionale soltanto al ruolo che devono svolgere nella vicenda, sono trascurati il loro passato, i loro pensieri ed eventuali (sempre ammesso che ce ne siano !) turbamenti emotivi per condotte non proprio esemplari.
Lasciando perdere quindi il commento “comparativo” (e anche morale, componente sempre insidiosa e comunque non strettamente necessaria nel mio personale modo di valutare una lettura), nel complesso questo libro mi è piaciuto abbastanza, ma mi ha lasciato anche una impressione di pesantezza: sia per quanto riguarda la trama, sviluppata con un numero secondo me eccessivo di personaggi (a volte ho faticato a ricordare chi avesse fatto o detto cosa) e molto “studiata”, sia per quanto riguarda l’assenza di un qualsiasi spiraglio non dico di ottimismo ma almeno di speranza. Sembra davvero che tutto sia così perché tutto deve essere così, che niente e nessuno potrà mai scardinare questi legami strettissimi tra poteri mafiosi, affaristici, mediatici, che si esprimono in un gioco di do ut des che non porta a niente di buono……….ed è molto triste.
E sembra già (su questo punto, purtroppo, l’analogia con gli ultimi romanzi della serie Montalbano ritorna fortemente) una sceneggiatura pronta per un film che, penso, potrebbe anche ottenere un discreto successo: i temi di attualità ci sono, peccato che (sempre secondo me) manchi l’anima.
"La rizzagliata" - Andrea Camilleri
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