Vivendo con la famiglia di Sultan Khan, l’ultimo venditore di libri rimasto a Kabul, la scrittrice ricostruisce uno spaccato della vita in Afghanistan dopo la cacciata dei talebani. Il romanzo è sconcertante perché è terribile la vita degli afgani oppressi dalla miseria, dai pregiudizi e da una cultura che mortifica non solo le donne, ma tutti quelli che non hanno avuto il privilegio di essere il primo figlio maschio. Per chi non è il primogenito maschio, la vita è solo una lotta continua per la sopravvivenza e i propri sentimenti, i desideri o inclinazioni non contano niente (addirittura uno dei figli piccoli del ricco Sultan è sempre chiuso nella bottega del padre ed è gracile anche perché non vede mai il sole).
Se poi nasci donna, l’unico valore che hai è nell’arrivare illibata al matrimonio (la donna è una merce di scambio) e poi nel numero di figli maschi che partorisci (maschi naturalmente perché le figlie femmine sono una disgrazia). E’ una non-vita così terribile da rendere la lettura a volte insopportabile: le donne sono sfruttate, vendute e calpestate in ogni aspetto della loro dignità. Io pensavo che il librario fosse una persona meravigliosa, pronta a difendere la cultura contro tutti i regimi e pertanto difensore dei diritti di tutti. Invece anche lui è un tiranno, un misantropo che opprime tutti i suoi familiari (dalla seconda giovanissima moglie trattata come un bel oggetto sessuale ai fratelli maschi più giovani che non possono esprimere alcun parere sulla propria vita).
Insomma è un romanzo molto bello ma che fa rabbia e si vorrebbe poter intervenire per liberare le donne dalle loro terribili condizioni di vita (e la figura di Leila è terribilmente drammatica perché costretta a fare da serva a tutta la famiglia del fratello senza poter esprimere il proprio essere).
Non sembra poterci essere speranza per l’Afghanistan dilaniata dai signori della guerra che non hanno nessun interesse a convivere pacificamente: solo la guerra esiste per loro, guerra che è espressione di potere (Un soldato afferma tristemente: “Sai qual è il nostro problema? Sappiamo tutto di come si usa un’arma, ma non siamo in grado di usare un telefono”). Ma se anche all’interno di una famiglia come quella di Sultan i fratelli litigano per potersi esprimere (Sultan è il capo e chi non gli obbedisce ciecamente viene allontanato dalla famiglia), come si può pensare di far convivere pacificamente etnie diverse?
E’ la condizione femminile, però, l’aspetto più spaventoso simboleggiato dal burka: non solo fa respirare a fatica, ma limita anche la visione. Per vedere di lato, infatti, le donne come i cavalli devono girarsi completamente e questo permette agli uomini di controllare anche cosa stanno guardando.
E poi la polvere continua che copre tutto e sembra simboleggiare una situazione di sofferenza che c’è sempre stata e che è impossibile da eliminare (Leila si volta, fa quei tre passi che la separano dalla soglia, si chiude silenziosamente la porta alle spalle e se ne va. Il suo cuore infranto è rimasto lì. Presto si mescolerà alla polvere che entra turbinando dalla finestra, a quella che si nasconde nei tappeti. La sera stessa sarà lei a spazzare via tutto e gettarlo nel cortile di fuori).
Il libraio di Kabul - Asne Seierstad
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Re: Il libraio di Kabul - Asne Seierstad
È la stessa idea che mi ero fatta io: parla di un librario, darà un segnale di speranza per la rinascita ed il futuro di Kabul e dell'Afghanistan... e invece niente, solo rabbia, tristezza e amarezzaciucchino ha scritto:Io pensavo che il librario fosse una persona meravigliosa, pronta a difendere la cultura contro tutti i regimi e pertanto difensore dei diritti di tutti. Invece anche lui è un tiranno, un misantropo che opprime tutti i suoi familiari (dalla seconda giovanissima moglie trattata come un bel oggetto sessuale ai fratelli maschi più giovani che non possono esprimere alcun parere sulla propria vita).

Scena terribile. L'autrice non avrebbe potuto rendere meglio i sentimenti di Leila e la non-vita (come l'hai definita tu) che conduce.E poi la polvere continua che copre tutto e sembra simboleggiare una situazione di sofferenza che c’è sempre stata e che è impossibile da eliminare (Leila si volta, fa quei tre passi che la separano dalla soglia, si chiude silenziosamente la porta alle spalle e se ne va. Il suo cuore infranto è rimasto lì. Presto si mescolerà alla polvere che entra turbinando dalla finestra, a quella che si nasconde nei tappeti. La sera stessa sarà lei a spazzare via tutto e gettarlo nel cortile di fuori).
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Re: Il libraio di Kabul - Asne Seierstad
Ho "prelevato" questo libro da una book box virtuale almeno 4 anni fa e solo ora mi sono sentita dell'umore giusto per leggerlo.
A differenza di chi mi ha preceduta in questo thread, mi ero fatta l'idea che il libro affrontasse tematiche molto dure.
Lo stile è giornalistico e scorrevole, quindi le pagine scivolano via senza fatica, l'ho letto con interesse e coinvolgimento.
Sicuramente un libro che consiglierò.
A differenza di chi mi ha preceduta in questo thread, mi ero fatta l'idea che il libro affrontasse tematiche molto dure.
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