che musica state ascoltando ora?(così...tanto x curiosità!

I bookcorsari ascoltano anche musica (pare strano ma vero) e qui si puo' discutere dell'argomento.

Moderatori: Therese, etnagigante

Rispondi
Avatar utente
kadma
Corsaro
Messaggi: 481
Iscritto il: lun ago 25, 2003 2:33 am
Località: torino
Contatta:

Messaggio da kadma »

Nidi d'arac
:whistle:
...anche io ero sul trocabus e tu? ihihihi

...nessuno e' piu' infelice di chi si chiude in se stesso, e che solo la comunicazione puo' tener vivi l'amore e il desiderio...L. Esquivel
Avatar utente
frarosano
Corsaro
Messaggi: 491
Iscritto il: ven gen 10, 2003 6:21 pm
Località: Napoli
Contatta:

Messaggio da frarosano »

paolo conte razmataz
Avatar utente
Tanelorn
Olandese Volante
Messaggi: 5092
Iscritto il: lun nov 04, 2002 8:32 pm
Località: Bologna/Rimini
Contatta:

Messaggio da Tanelorn »

Oggi si cambia genere... "Automatic Thrill", il nuovo album dei Gluecifer (la versione meno edulcorata dei The White Stripes, The Strokes e compagnia)... ROCK 'N' ROLL !!!
"And there's so many many thoughts
when I try to go to sleep
but with you I start to feel
a sort of temporary peace..." (D. Cavanagh)
Avatar utente
Babette
Olandese Volante
Messaggi: 2068
Iscritto il: lun ago 18, 2003 11:42 pm
Località: Firenze, da sempre ma non per sempre
Contatta:

Messaggio da Babette »

Geraldina Trovato - Gechi e vampiri :eyes: :eyes: :eyes:

Non capisco......è nella cartella di winmix ma non so come ci sia arrivata :think: cmq la consiglio per l'assurdità :lol: :lol:
Un libro dovrebbe essere una sfera di luce nelle mani di chiunque (Ezra Pound)
Avatar utente
orsomarso
Re del Mare
Messaggi: 1942
Iscritto il: lun mag 12, 2003 11:41 pm
Località: L'Aquila
Contatta:

Messaggio da orsomarso »

Una mia compialtion personale che contiene nell' ordine:

:arrow: Daniele Silvestri
:arrow: Ben Harper
:arrow: Roberto Benigni
:arrow: Caparezza
:arrow: Chuck Berry
:arrow: Dido
:arrow: Jamiroquai
:arrow: Elio e le storie tese
:arrow: Spazio 1999 (la sigla)
:arrow: Fatboy slim
:arrow: Frank Sinatra
:arrow: Morgan
:arrow: Queen
:arrow: R. H. C. P.
:arrow: Rolling Stones
:arrow: Simple Minds
:arrow: Vasco Rossi
Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi. (S.PENNA)
Avatar utente
Still
Re del Mare
Messaggi: 1579
Iscritto il: gio feb 27, 2003 8:19 pm
Località: Roma
Contatta:

Messaggio da Still »

è sabato pomeriggio e sto lavorando ... ascolto ... Mondi Sommersi dei Litfiba ** <sparami sparami>
** vado a far una citrazione musicale
"T'amo senza sapere come, nè quando nè da dove" (P.Neruda)
Love&Peace
"forse mia cara maestra non ha capito..è amore mio infinito.." Bugo&Viola
Avatar utente
orsomarso
Re del Mare
Messaggi: 1942
Iscritto il: lun mag 12, 2003 11:41 pm
Località: L'Aquila
Contatta:

Messaggio da orsomarso »

Per cominciare con energia la domenica mattina, cosa c'è di meglio di gironzolare sul forum ed ascoltare un pò di Hard Rock anni '80!

Guns 'n' Roses - Appetite for distruction!!!
Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi. (S.PENNA)
Avatar utente
CuteBoy
Olandese Volante
Messaggi: 3708
Iscritto il: dom nov 02, 2003 6:00 pm
Località: SviTiCa
Contatta:

Messaggio da CuteBoy »

gli skiantos...
la radio passa gli skiantos...

la domenica mattina solo cnazone vecchie e belle...

ma "gelato" degli skiantos oggi è la ciliegina sulla torta...
Avatar utente
CuteBoy
Olandese Volante
Messaggi: 3708
Iscritto il: dom nov 02, 2003 6:00 pm
Località: SviTiCa
Contatta:

Messaggio da CuteBoy »

sempre meglio...

Because the night- Patty smith
secondo me i miei genitori mi han concepito su sta canzone...

beh, o perlomeno devo averla sentita 9 mesi nel ventre di mia madre...
anzi 8...
mi prende troppo...

mi ricordo che è stato uno dei primi cd che ho comperato...
a fine giugno del 94 a Roma...
Avatar utente
CuteBoy
Olandese Volante
Messaggi: 3708
Iscritto il: dom nov 02, 2003 6:00 pm
Località: SviTiCa
Contatta:

Messaggio da CuteBoy »

io oggi, vi tedio, e vi dico cosa ascolto...
non minuto per minuto ma quasi...
oggi son 4 anni che è morto de andré...
:(
la radio passa "a dumenega"
frarosano qui sotto ha scritto:de andre moriva 5 anni fa l' 11 gennaio 1999
porca paletta, lo sapevo benissimo che era il 99
ho sbagliato il calcolo...
passano gli anni eh?
Ultima modifica di CuteBoy il dom gen 11, 2004 12:28 pm, modificato 1 volta in totale.
Avatar utente
frarosano
Corsaro
Messaggi: 491
Iscritto il: ven gen 10, 2003 6:21 pm
Località: Napoli
Contatta:

de andre

Messaggio da frarosano »

de andre moriva 5 anni fa l' 11 gennaio 1999

dopo aver ascoltato creuza de ma
adesso sto ascoltando
volume 8
Avatar utente
frarosano
Corsaro
Messaggi: 491
Iscritto il: ven gen 10, 2003 6:21 pm
Località: Napoli
Contatta:

Re: de andre

Messaggio da frarosano »

ecco cosa scriveva repubblica 5 anni fa
la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 1

di MICHELE SERRA



LA BALLATA DI FABRIZIO



AVEVA un bellissimo viso da signore, ancora ben intuibile dietro gli sfregi lividi dell' alcol, come in un ritratto di Bacon. Aveva una bellissima voce da uomo, profonda e fedele alle parole che pronunciava, levigata negli anni da un fiume di sigarette. E aveva un bellissimo cuore, il cuore dei grandi poeti, aperto al cielo, alle nuvole, alle donne che amano, ai soldati che muoiono, ai potenti che comprano, ai delinquenti che pagano. "MA COME, non conosci Fabrizio?". Era il compagno di banco, lo stesso che ti aveva fatto leggere Masters o Majakowski, a imprestarti i suoi dischi. Erano canzoni sconosciute alle hit-parade, alla televisione, alla radio. Canzoni carsiche, liriche da ricopiare sui fogli di quaderno, melodie di contrabbando ripetute dalle chitarre scordate degli chansonniers di liceo. Parlavano di prostitute, di disertori, di guerra, di sesso, di morte. Le si ascoltava per pomeriggi interi, in quelle cerchie fervide e infatuate di adolescenti che s' infiammano alle prime poesie, come nell' Attimo fuggente di Peter Weir. Noi ragazzi degli anni Sessanta ci innamorammo dei suoi eroi malvisti, derelitti, risplendenti di solitudine. E ridevamo dei suoi grotteschi bersagli, re sudicioni, borghesucci ipocriti, giudici spietati, beghine pavide. Quella stessa potente, preziosa materia - la percezione che il mondo è ingiusto e ottuso - che la politica, di lì a poco, avrebbe bruciato come carta straccia, nelle canzoni di Fabrizio faceva una luce incantevole, la mite e durevole luce dell' arte. E la ferita emotiva che quelle parole, quelle ballate aprivano nell' animo, corrispondeva all' intuizione che l' arte e la poesia fossero la più radicale delle rivolte. Quell' intuizione, purtroppo, non è irrimediabile. Si cicatrizza con gli anni, ci si passa poi sopra, crescendo, quando l' attimo fuggente svanisce. Ma malamente, così come mi viene dal cuore dicendo addio a Fabrizio, vorrei dire che se la mia generazione avesse creduto fino in fondo alle canzoni di De André (e per li rami a Brel, Brassens, Vian) piuttosto che a certi severi catechismi, quanto dolore e quanta bruttezza avremmo evitato... Come ci commuoveva, nella Guerra di Piero, la quartina nella quale il soldato sceglieva di morire piuttosto che uccidere: "E se gli sparo in fronte o nel cuore/ soltanto il tempo avrà per morire/ ma il tempo a me resterà per vedere/ vedere gli occhi di un uomo che muore". Ma quanto poco durò, ahimè, il mito adolescenziale della diserzione, incalzato dal mito virile della militanza... Non che Fabrizio e le sue canzoni fossero, nel raccontare le cose del mondo, incruente. Il suo pensiero era animoso, duro fino all' acredine nella rappresentazione del potere, fortemente incline all' invettiva, proprio come i suoi primi ispiratori, l' antico Villon e il moderno Brassens. E certamente nessuno dei cantautori italiani ha saputo cantare così civilmente l' odio per l' inciviltà dei tempi. Anarchicamente, detestava le maggioranze e la loro capacità di fagocitare i comportamenti, di anestetizzare i sentimenti. Ma questa lucida cognizione della ferocia dei vincitori, piuttosto che ispirargli rabbia e impotenza, accendeva la sua potenza narrativa, e dilatava la sua naturale dolcezza. Dalle puttane, dai carcerati e dagli emarginati cantati (e cullati) nelle sue prime ballate, passò agli indiani d' America, agli umili morti di provincia di Spoon River, ai poveri cristi dei Vangeli apocrifi, agli anarchici più esplosi che esplosivi, ai barboni bruciati da Ludwig, ai transessuali, ai lavavetri, a chiunque incarnasse la poesia della sconfitta. Perfino del suo rapimento, patito insieme alla moglie Dori Ghezzi, seppe cantare (in Hotel Supramonte) a partire dalla percezione della debolezza dei suoi aguzzini. Con una sensibilità che qualcuno, grossolanamente, giudicò ideologica, mentre era, allora come sempre, solo e soltanto poetica. Nato ricco, e da una famiglia importante, fin da ragazzo aveva scelto la Genova d' angiporto, quella dei bordelli, dei pittori, dei tiratardi. E dei cantautori. Conoscendolo, era facile intuire che la frattura giovanile con le sue origini familiari fosse di natura prima esistenziale che politica. La sua pigrizia (Oblomov era uno dei suoi eroi letterari), l' intelligenza sorniona, il dispregio per l' efficienza, per l' iperproduttività, per il mito della "professionalità", lo allontanavano da ogni responsabilità di censo, e lo spingevano a praticare la sua arte secondo i tipici umori del dilettante (amateur, dicono i francesi). Uno dei più autentici, spontanei traditori di classe che si sia mai visto sotto il sole. Detestava la sala d' incisione e ancora più i concerti, ai quali si sottoponeva come a un' interrogazione scolastica sgradita, e solo dopo essersi circondato di musicisti d' eccellenza, come per condividere una pena con amici fidati. Televisione neanche a parlarne, e chissà come potranno organizzare la celebrazione, sulle varie reti, con le poche reliquie disponibili. Si sentiva profondamente mediterraneo, quasi un arabo di Genova, e nel suo capolavoro (Creuza de ma' , in lingua genovese) era finalmente riuscito ad approdare, insieme a Mauro Pagani, a un mondo sonoro gravido di spazio, di lentezza, di lontananza dalla frenesia malata, ridicola, spietata del nostro tempo. Per difendersene viveva sei mesi all' anno in Sardegna, e gli altri sei confinato all' ultimo piano di un palazzone milanese, in una casa bella e quasi lunare, a distanza di sicurezza dal traffico e dalla confusione. Ha scritto poco relativamente ai ritmi discografici. Tantissimo in rapporto alla propria indole. La qualità, rarefatta nel tempo (un disco ogni lustro, ultimamente), è sempre rimasta altissima, e forse, cosa rara in ogni genere d' artista, ha raggiunto i suoi vertici proprio con le ultime opere, il già citato Creuza de ma' , Le nuvole e Anime salve. L' ascolto di quelle ballate, di quei versi, soprattutto di quella voce così profonda e tersa, è la grande compagnia che ci ha lasciato. è pochissimo se raffrontato al vuoto che resta laddove fino a ieri si sedeva, ragionava, parlava e cantava questo nostro grande, meraviglioso fratello maggiore. E tantissimo se pensiamo a quanto lontano potrà arrivare la sua voce di lunga durata, lenta, veritiera, che ci darà conforto e vacanza quando non riusciremo più a sopportare il suono frenetico del tempo. Che la sua anima riposi in Supramonte, o in via del Campo, o a Spoon River, o nel letto del Sand Creek, dovunque una sua canzone abbia restituito bellezza e dignità agli uomini.



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 1

di VINCENZO CERAMI



ANARCHIA E DOLCEZZA



UN ALTRO arresto di memoria su una voce che ci ha raccontato un pezzo d' Italia con musica e parole intrecciate ad arte, create per capire dove viviamo attraverso un fitto gioco di testa e cuore. De André era molto di meno e molto di più di chi fa musica popolare: non voleva essere portavoce di un popolo che non c' è più eppure non ha mai smesso di far cantare ciò che di quel popolo è rimasto, le anime "salve", emarginate, autoemarginate e solitarie. LA SUA ITALIA riunisce insieme sotto la stessa lingua e gli stessi dialetti quelle persone che per lasciarsi andare alle emozioni hanno bisogno di complessità e di una sincerità che è sempre imbarazzante, coraggiosa, scandalosa, estrema. Per questi italiani De André scriveva e cantava, in controtendenza rispetto a un' epoca che scivolava inesorabilmente verso l' edonismo, verso l' oblio e l' amoralità anemica della società opulenta: "Ogni tre anni c' è una stella marina, ogni tre stelle c' è un aereo che vola!". LE SUE CANZONI non si canticchiano con le braccia alzate (al massimo si fischiano, ma chi fischia più!), non si ballano, non si accompagnano con gli accendini accesi. Si ascoltano in spazi chiusi, intimi, densi, dove la bellezza è qualcosa che va cercata, trovata in sé prima di scoprirla nelle canzoni. Sono canzoni che si negano agli egocentrici, ai narcisisti, ai sentimentali, agli innamorati delusi. Bisogna avere a cuore qualcos' altro per godere del genio di De André. Bisogna saper uscire fuori dal proprio nido e riconoscere che la nostra sorte è strettamente condizionata da quella degli altri, che la nostra felicità vanità delle vanità è orrore quando a pagarne il prezzo è qualcun altro. Una verità, questa, ormai dimenticata, schiacciata sotto il peso del realismo aziendale dei nostri anni spietati. Solo un utopista anarchico, uno spirito libero e pazzo come quello di Fabrizio De André può mantenere vivo in sé il sentimento di pietas per una condizione umana senza sbocchi. IL TONO NITIDO della sua voce, cedevole appena nei passaggi più toccanti; l' intelligenza delle citazioni colte; gli echi sonori delle culture ancora gravide di segni carnali; la religiosità arcaica, precristiana spesso, dei suoi testi; gli scioglilingua da nenie infantili; il sapore di marcetta degli straccioni e di rivoluzionari già vinti; le ballate di allegra stanchezza o di agonica ilarità ("un' assenza apparecchiata per cena"); la chitarra disposta a frasi da canzoni del tramonto... raccontano l' anima di un poeta che difende la propria libertà espressiva parlando anche di Cutolo e Custer, di Versace che veste i bronzi di Riace, e di "banchieri pizzicagnoli notai/ con ventri obesi/ e i cuori a forma di salvadanai" e di generali con cimiteri di croci sul petto. Poeta perché, al contrario di quasi tutti i suoi colleghi "impegnati", non conosce la triviale retorica del messaggio. Semmai, descrivendo i cattivi, s' ispira al sarcastico dolore di Grosz. E descrivendo i buoni pensa a Cristo e ai reietti. Dietro il concepire versi c' è la chanson, il sublime Brassens, se non Villon, Angiolieri, i simbolisti francesi e lo spleen di Baudelaire, Saba e il meglio della scuola genovese. De André abitava in quel quartiere musicale e artistico, circondato da libri e da eccellente musica, lontano chilometri dalle tintarelle di luna e altrettanti chilometri dalle pasticcerie dell' impegno. E' stato un vero artista, rimasto sempre e volutamente appartato senza bisogno di nascondersi, senza mai dover restituire nulla non avendo mai accettato nulla. E' questa figura "alta" della canzone italiana che la scomparsa dell' indimenticabile artista s' è portata via. FABRIZIO DE ANDRé è stato un autore di versi e musica tutt' altro che intellettualistico, un cantante che come pochissimi ha sempre nutrito umile rispetto e amore adulto per l' intelligenza e la sensibilità dei suoi ascoltatori. Frugava nella memoria, nelle sommerse indignazioni, nelle sonorità evocative. La complessità sopraffina dei suoi testi musicali si nasconde, quasi con pudore, dietro l' immagine semplice e povera di un uomo con la chitarra in mano e la sigaretta in bocca, al tavolo dell' osteria; dietro al tono di chi improvvisa una poesia accompagnandola con una rumbetta appena accennata o una stornellata.


--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 10

di ANTONIO DIPOLLINA



Domani alle 11.30 si svolgeranno i funerali pubblici a Genova. Ieri sera a Milano un raduno spontaneo dei suoi fan come per Battisti

L' ULTIMA BATTAGLIA DEL POETA DE ANDRÉ

IL CANTAUTORE È MORTO A MILANO NELLA NOTTE DI DOMENICA.

MALATO DI CANCRO, SI ERA AGGRAVATO A OTTOBRE

AVEVA TRASCORSO NELLA SUA CASA DI MILANO SOLO I GIORNI DI NATALE E SANTO STEFANO, POI L' IMMEDIATO RITORNO ALL' ISTITUTO DEI TUMORI



MILANO - Fragile, come l' amico di una sua canzone. Fragile perché divorato dal cancro, Fabrizio De André ha smesso di vivere nella notte tra domenica e lunedì. Una malattia fatale che lo aveva aggredito sei mesi fa, con un aggravamento in ottobre che era suonato come una sentenza, con il calvario delle ultime due settimane in cui solo gli antidolorifici permettevano di resistere. Aveva trascorso nella sua casa di Milano solo i giorni di Natale e santo Stefano, poi l' immediato ritorno all' Istituto dei Tumori, un nuovo ricovero, l' agonia. La morte alle due e trenta della notte. Fuori, la pioggia battente su tutti i dolori di Milano. La notizia delle pessime condizioni di salute del 58enne cantautore genovese circolava nell' ambiente musicale ormai da alcuni mesi, accolta con un fatalismo che nasceva soprattutto dall' aver vissuto da pochissimo tempo l' analoga vicenda legata a Lucio Battisti. Anche stavolta la famiglia, la moglie Dori Ghezzi, i figli Cristiano e Luisa Vittoria che erano accanto a lui nell' ultima notte, ha chiesto il rispetto della privacy: non è stata allestita una camera ardente pubblica, De André riposa in una stanza inaccessibile dell' Istituto milanese, nella camera mortuaria. Al contrario di quanto è successo per Battisti, però, verrà data a tutti la possibilità, domani alle 11.30, di partecipare ai funerali che si svolgeranno nella sua Genova, nella Basilica di Santa Maria Assunta in Carignano. Due righe della famiglia: "Fabrizio appartiene non solo a noi, ma a tutti quelli che lo hanno amato". Il cantautore anarchico dei Vangeli Apocrifi cantati in un disco lontanissimo nel tempo, avrà funerali religiosi e la folla della sua città natale intorno. Tutto era cominciato lo scorso agosto, quando De André sembrava avviato a restare sulle scene per un periodo duraturo: era appena partito per una tournée che lui aveva preparato con cura assoluta, sul palco c' erano anche i figli Cristiano e Luisa Vittoria, per tutti Luvi, a cantare e suonare. L' ultimo disco Anime salve aveva vinto tutti i premi della critica in circolazione: De André aveva perfino firmato con la sua casa discografica un contratto per lui del tutto inedito, che lo vincolava a produrre nuovi dischi entro scadenze precise. Lui, abituato a tempi lunghissimi di produzione discografica, aveva ammesso in pubblico che il primo sarebbe stato una raccolta di "cover", di canzoni di autori stranieri - sudamericani soprattutto - tradotte in italiano. Dopo Ferragosto, in un concerto in Calabria aveva destato scandalo e polemiche sui giornali dicendo che la criminalità organizzata prosperava per le fortissime radici con la popolazione. Ancora scandaloso, sempre irrequieto, De André c' era. Ritorna al Nord, per il concerto ad Aosta, ed è il 24 di agosto. Ma quel giorno il concerto salta, perché durante le prove De André accusa forti dolori alla schiena. Si fa visitare, i medici gli danno calmanti del dolore e lo invitano a esami più approfonditi. Dopo pochi giorni l' annuncio, tutta la rimanente parte del tour viene annullata per motivi di salute. Si parla di costole incrinate, una nevrite alla spalla, infiammazioni. è tutt' altro, e oggi il figlio Cristiano lo ricorda come un combattente consapevole da subito della gravità delle sue condizioni: con momenti di disperazione, ovvio, ma sempre con voglia di lottare. Le terapie, lunghe e dolorose, a Milano. L' ultima speranza crolla pochi giorni prima di Natale, quando lo stesso Cristiano ha un disarmante colloquio con i medici che hanno in cura il padre, e che annullano ogni residuo, possibile, ottimismo. Stando alle scarne informazioni non-ufficiali (sempre per la legge sulla privacy), il cantautore perde conoscenza domenica mattina, l' agonia si conclude alle due e trenta della notte: intorno Dori, Cristiano e Luvi che gli stringono le mani, ed è ora che lui vada. Il giorno dopo, mentre le agenzie di stampa straniere titolano la notizia "Italia-cultura" e parlano del "Brassens italiano", intorno all' Istituto dei Tumori si rivive il clima dei giorni di Battisti. In più, è la giornata più grigia, piovosa e fredda del mondo: arriva qualche fan, all' ingresso della camera mortuaria compare una rosa, un ragazzo se ne sta appoggiato a una macchina con gli occhi rossi e perduti nel nulla: davanti l' enorme edificio dove il dolore è palpabile in tutto e tutti, e non se ne va mai. Tutto si adegua. Dentro, su all' ottavo piano dove De André era ricoverato, la consegna del silenzio viene infranta soltanto per dire che sì, avevano notato la presenza del cantautore e soprattutto la gentilezza straziata di Dori, il volto di Cristiano, la discrezione di tutti. Una riservatezza protetta in via ufficiale, il nome non compariva né sulle cartelle cliniche né sugli elenchi pubblici dei degenti. Domani, a Genova, quel nome farà vibrare di commozione una città: il programma prevede che la salma di De André venga trasferita prestissimo, la mattina, nella sua terra natale. Oggi rimarrà ancora nella camera mortuaria dell' ospedale milanese, chiusa al pubblico. Un primo ricordo spontaneo da parte dei suoi fan c' è stato già ieri sera in piazza Duomo, a Milano. Una piccola folla, circa 200 persone, si è radunata davanti alla cattedrale per cantare insieme le sue canzoni. Un' analoga iniziativa ebbe luogo, sempre al Duomo, quando morì Lucio Battisti.



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 10

di GINO CASTALDO



Liberò la canzone dall' età dell' innocenza Creava viaggiando in barca con ospiti illustri

SCOLPIVA PAROLE CON LA VOCE LA STAZIONE DI BOCCA DI ROSA IN "NUVOLE" UN MAGICO EPITAFFIO CELESTE



Fu il primo intellettuale a esprimersi in questa forma d' arte, affrontando qualsiasi tema



ERA capace perfino di non esserci, di far iniziare "Nuvole", il suo disco più struggente e prezioso dell' ultimo periodo, con le voci di due donne sarde, una più giovane, l' altra più anziana, che raccontano dolci e trasognate le nuvole che affollano il cielo: "Vanno, vengono, ogni tanto si fermano, sono nere come il corvo, sembra che ti guardino con malocchio. Certe volte sono bianche e corrono e prendono la forma dell' airone o della pecora...". A riascoltarlo oggi, sembra un epitaffio celeste, una magia della parola, un' emozione appesa all' incomprensibile e sfuggente senso del divenire di tutte le cose. Anche quando non c' era, De André spargeva lacrime di carisma, e lo aveva fatto per tutta la sua vita, ombrosa e riservata, come il primo vero intellettuale della nostra canzone, quello che ha traghettato verso la modernità le inquietudini dei cantautori genovesi, i primi a trattare di amore come lente esistenziale per capire il mondo. Era già molto, ma pochi anni dopo arrivò lui e improvvisamente si completò la rivoluzione in atto. Non più solo amori desolati e fragili, ma parabole, canti colti, citazioni medioevali, un provocatorio e costante intreccio tra sacro e profano, tra cultura alta e bassa, tra sublime e volgare, un po' come sono gli uomini del resto, di cui De André, sul piede della lezione dei francesi, si dimostrò acuto e implacabile osservatore. Le sue canzoni (al pari di quelle di Guccini che però aveva scelto la strada del folk americano) rivelarono che la canzone, perfino quella italiana, poteva permettersi ogni licenza artistica. Si poteva osare, si poteva affrontare qualsiasi tema, di più, si poteva brandire una canzone come arma anarchica e indipendente contro l' ipocrisia, contro la doppia faccia della società perbene e assassina. Se proprio dovessimo individuare il peso dell' influenza che De André ha avuto sugli altri cantautori, dovremmo pensare soprattutto alla capacità di svelare, di aprire, di non istigare imitazioni ma ispirare libertà, convincere che si poteva essere unici, che ogni musicista poteva essere un mondo a parte. Dunque quelli che più sono stati segnati da lui sono quelli che gli assomigliano meno. Che è la cosa più bella che possa capitare a un maestro. E' successo a Dylan, è successo a John Lennon. A De André è successo di essere divorato da una passione inarrestabile, di percepire come nessun altro il potere enorme della parola cantata, di temerlo e rispettarlo al punto di aspettare mesi, anni, finché non emergeva quella giusta, quella che avesse forza e significato, quella parola e non un' altra, fusa ad una nota che ne svelasse le risonanze, che ne amplificasse la vibrazione poetica. Si pensa soprattutto al poeta, ma ci si dimentica che De André era soprattutto la sua voce e che per quella erano pensate le canzoni, una voce nitida, ferma, profonda, scolpita come un bassorilievo che nei dischi e nei concerti riempiva l' aria con una autorità che pochi hanno posseduto. La sua è la storia di un musicista che aveva capito un altro grande segreto: la trasformazione. Anche questa inseguendo in fondo la mimesi della vita stessa. Cercava, instancabilmente, nuove possibilità, le sperimentava a lungo, le meditava in lunghi viaggi in barca, le scarnificava per mesi coi suoi compagni di viaggio (Ivano Fossati, Mauro Pagani e tanti altri) finché non si arrivava in porto. Sta di fatto che il viaggio era un viaggio reale, non pretestuoso, e tra "La canzone di Marinella" e "Creuza de ma" c' è un abisso, c' è tutta la vertigine delle metamorfosi di un artista che può rimanere se stesso cambiando tutto. Dalle ballate-apologo degli inizi, in cui la parola aveva un peso preminente, fino al folk-rock più innovativo, a un vero e proprio manifesto di una possibile musica etnica italiana, dove l' uso del dialetto, spesso l' incomprensibile genovese, rendeva la parola soprattutto elemento sonoro, entità ritmica. Non era un poeta tout court, tutt' altro. Era un incantatore di suoni e parole, uno di quelli che possiedono il segreto, del resto antichissimo, di una lingua in cui versi e musica non possono essere separati, e la poesia è sempre anche suono. Del poeta (musicale) aveva l' ambizione, la volontà di plasmare emozioni che suonassero vere, spietatamente autentiche, esasperando la soggettività dell' atto creativo come unico possibile momento d' onesta espressione. Ed è il segno che ora ci mancherà di più.



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 10

Il compositore: lo ammiravo

"STAVAMO RISCRIVENDO L' INNO NAZIONALE" ERA UN PROGETTO CHE CI DIVERTIVA ENTRAMBI. IO HO GIÀ COMPOSTO LA MUSICA, PURTROPPO MANCHERANNO LE PAROLE DI FABRIZIO LUCIANO BERIO



ROMA (l.b.) - "Riscrivere l' inno nazionale italiano: un po' per ridere un po' sul serio, era questo il progetto che avevamo insieme, Fabrizio ed io", racconta dalla sua casa in Toscana, nella campagna senese, il compositore Luciano Berio, probabilmente il massimo autore del nostro tempo nell' ambito della musica "colta". La notizia della morte di Di André lo sta cogliendo di sorpresa, inopportunamente recata dalla voce della giornalista già pronta, ieri mattina, a interpellarlo per un ricordo, mentre il maestro, ancora inconsapevole, è immerso nel suo lavoro di composizione quotidiano (sta ultimando la partitura di teatro musicale a cui toccherà, quest' anno, l' onore dell' apertura del festival estivo di Salisburgo). Al telefono Berio sembra colpitissimo: di Fabrizio era molto amico, "anche se si tratta di un' amicizia recente, lo avevo conosciuto a Genova, a casa di Renzo Piano, appena un anno e mezzo fa, e ci siamo rivisti qualche tempo dopo a Milano. Mi piacque subito, era una persona di sensibilità e acutezza straordinarie". L' idea di un nuovo inno nazionale "divertiva sia me che lui e ne abbiamo parlato spesso. Naturalmente ci eravamo divisi i compiti: a lui toccavano i testi e a me la musica. E io intanto la musica l' ho scritta. Purtroppo mancano le sue parole". Che cosa, soprattutto, le piace ricordare di Fabrizio De André? "La sua intelligenza, la sua consapevolezza. Era un uomo ricco di una coscienza profonda dei valori, molto al di là dei confini specifici del suo impervio mestiere. In lui c' era una umanità diversa, e sempre una grande dignità. Fabrizio non si "sdava" mai, era un uomo incapace di vendersi, di buttarsi via. I suoi testi erano sempre molto controllati. Mai che ci fosse il minimo sospetto di mercanzia. E questo lo rendeva unico, differente da tutti". Parlavate di musica? "A volte sì, conosceva qualcosa della mia musica, e a me, che vivo con due figli giovani, grazie a loro era capitato, un po' per caso, di ascoltare qualcosa di suo. Poi, dopo averlo conosciuto di persona, decisi di comprarmi tutti i suoi dischi. Sì, certo che li ho ascoltati. Con ammirazione. Ma non mi sembra il caso di mettermi a fare l' esegeta della sua musica. Al di là di tutto, come ho detto, c' era il lato umano di Fabrizio, la qualità rara della sua persona, fatta di tante cose diverse". Per esempio? "Quel suo senso assoluto di libertà interiore e innanzitutto del rigore. Un rigore che ha segnato la sua storia politica, fatta appunto di rigore e di libertà. Fabrizio De André è riuscito a non essere mai succube delle regole del mercato e non ha mai rinunciato a quel prezioso e raro ingrediente comune a tutti i liguri che amo, per esempio Sanguineti e Calvino: l' ironia".



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 10

Suo antico collaboratore

"HA COSTRETTO IL MERCATO A PIEGARSI ALLA SUA ARTE" LE SUE OPERE NON SONO LEGATE ALLA GIOVINEZZA, AI FALÒ SULLA SPIAGGIA, SONO LAVORI SENZA TEMPO COME I VANGELI APOCRIFI NICOLA PIOVANI



ROMA (m.p.f.) - Nicola Piovani ha collaborato con Fabrizio De André all' inizio degli anni Settanta, per gli album Non al denaro non all' amore né al cielo ispirato all' "Antologia di Spoon River" e Storia di un impiegato, animato da profonda passione politica. Ma del suo rapporto con De André il maestro Piovani preferisce non parlare, "perché i ricordi personali significano dolore personale, sentimenti privati sui quali è giusto il silenzio. E poi De André ha collaborato con tantissimi musicisti senza mai lasciarsi modificare, anzi con una grande capacità di metabolizzare il lavoro degli altri. Ci sarà modo di riparlarne, lascia un' opera tutta da ristudiare". Quali sono i brani che restano preziosi nella sua memoria? "Forse le prime canzoni, Il testamento, Bocca di rosa, che ho ascoltato quando ero molto giovane. Ma le canzoni di De André appartengono alla memoria di tutta la nostra generazione, perché hanno ridato nobiltà al genere canzone, cosa che - senza arrivare a Schubert - per i francesi era già molto chiaro quando ancora da noi si diceva musica leggera usando l' aggettivo in senso riduttivo". Quali considera i suoi valori più alti? "L' assoluta, estrema coerenza che ha avuto fino alla fine, non si è mai piegato alle mode e alle esigenze dell' industria, non gli ha neanche, minimamente, prestato orecchio. Anzi, ha spinto il mercato a piegarsi alle sue esigenze, alla sua arte. Le sue canzoni non passeranno mai di moda, perché non sono mai state di moda: la moda riguarda i modisti, De André era una artista". La differenza è grande... "Le sue canzoni non restano nella memoria come riferimento ad una stagione di vita, della giovinezza soprattutto, non diciamo "le cantavamo sulla spiaggia intorno a un falò, o legata a una corsa in motocicletta 10 Hp...". Alle sue canzoni ci si riferisce come ad opere senza tempo, come ci si rapporta con i Vangeli Apocrifi, alla creazione di un poeta che segue solo il suo fiuto di rabdomante, insensibile e ignaro agli elementi della moda". Anche nel suo rapporto con la televisione De André è stato coerente... "L' ha sempre rifiutato, anche all' inizio, anche quando ne avrebbe avuto bisogno, quando la promozione sul teleschermo avrebbe aiutato il fatturato. è molto facile, come fanno molti artisti, rifiutare la televisione dopo che hanno avuto successo". Da cosa nasceva questo rifiuto, secondo lei? "A naso capiva che linguisticamente sarebbe stata una forma di omologazione, di profanazione. Non era un calcolo razionale, era il fiuto del grande poeta".



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 10

Melandri: grande spessore

D' ALEMA: HA DIPINTO LE NOSTRE ESPERIENZE I POLITICI



ROMA - Il presidente del Consiglio, Massimo D' Alema, in un messaggio inviato alla famiglia ha espresso la sua commozione per la morte di De André "che ricordiamo tutti come autore di splendide pagine musicali e poetiche. Ci ha regalato emozioni che resteranno nella storia della canzone. Ha dipinto con le note le esperienze di intere generazioni di giovani che si sono incontrate e sono cresciute con i suoi testi". Anche Giovanna Melandri, ministro della Cultura, in un messaggio alla famiglia definisce De André "un uomo di straordinario spessore. Spessore rispecchiato con continuità nella sua opera di artista, che si è identificata con la sua stessa vita".



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 12

GIGI RIVA: AMICIZIA FONDATA SUL SILENZIO IL CAMPIONE



CAGLIARI - "Eravamo molto simili di carattere" ricorda commosso l' ex calciatore Gigi Riva, amico di De André, un' amicizia nata tanti anni fa quando Rombo di Tuono incantava gli italiani nelle file del Cagliari e della Nazionale. "La prima volta che l' ho incontrato è stato nella sua casa di Genova. Io ero un suo ammiratore. Penso di essere stato uno dei primi estimatori delle sue canzoni. Anche lui voleva conoscermi e l' incontro fu organizzato da alcuni giocatori del Genoa. Per dire quanto fossimo simili di carattere, in quella occasione credo che in un quarto d' ora abbiamo detto sì e no tre parole in due. Poi, dopo qualche whisky, ci siamo sciolti. Io, poi, gli avevo regalato una mia maglietta e lui una delle sue chitarre".



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 12

di FLAVIO BRIGHENTI



"Mi disse: eri un figlio d' arte, ora sei adulto"

CRISTIANO, ORGOGLIO E DOLORE GLI ULTIMI DUE ANNI E MEZZO PASSATI IN TOUR INSIEME SONO STATI UN' EMOZIONE CONTINUA. SU QUEL PALCO, CON LUI E MIA SORELLA LUVI, ERAVAMO UNA FAMIGLIA VIAGGIANTE



Ricorda il giovane De André: "Ha combattuto tutta la vita, ma è morto serenamente insieme a noi"



ROMA - "Ha combattuto fino all' ultimo, come in tutta la sua vita. Ma è morto serenamente: Dori, Luvi e io gli stringevamo le mani". Cristiano De André, 36 anni, primogenito di Fabrizio e cantautore come il padre, parla con un filo di voce. "Non mi rendo ancora conto di quello che è accaduto, soprattutto non riesco ancora a farmene una ragione", confida. Poi, lentamente, apre l' album dei ricordi con la dolcezza di cui solo un figlio è capace. Partendo da quelli più ravvicinati. "Sapeva del suo male, voleva essere messo al corrente di tutto, per esorcizzare il suo nemico. Gli ultimi due anni e mezzo passati in tour insieme a lui sono stati un' emozione continua, per me. Hanno rafforzato il nostro rapporto, sono serviti a superare certe incomprensioni del passato. E poi, su quel palco, con lui e mia sorella Luvi, eravamo davvero una famiglia viaggiante. Era come essere ogni giorno a Natale". Cristiano ha faticato molto, per affermarsi come cantautore. Fabrizio gli ha procurato il primo ingaggio discografico, con i Tempi Duri, quand' era poco più che ragazzino. Poi si è defilato. Convinto che il figlio possedesse il talento per proseguire il cammino con le sue gambe. "Ha sempre creduto in me e non è assolutamente vero che il nostro rapporto artistico fosse basato sulla competizione, a dispetto della gente maliziosa che si è divertita a seminare veleni su di noi. La verità è che nel ' 93, quando mi presentai a Sanremo con Dietro la porta, l' unico a credere in quella canzone, insieme a me e al mio produttore, era lui". E quando Cristiano si piazzò al secondo posto assoluto di quell' edizione, alle spalle di Enrico Ruggeri, il più orgoglioso di quel successo si dimostrò ancora lui, papà Fabrizio. "Mi disse che era fiero di me, che ero entrato a Sanremo come figlio d' arte e ne ero uscito adulto. Una gioia che, mi confessò, gli ricordava quella volta che, quando avevo dieci anni, uscimmo insieme a pesca nel mare di Sardegna e mi riuscì di pescare a traina un dentice di sette chili. Qualche giorno dopo, durante un suo concerto al "Margherita" di Genova, mi chiamò sul palco invitandomi a cantare con lui Il pescatore. E mi presentò come una star". L' anno successivo, mentre lavorava al nuovo disco, Cristiano fece ascoltare al padre la musica che aveva composto per un brano dedicato ad un amico comune, morto di Aids: Cose che dimentico. "La mattina successiva venne da me con il testo già scritto. Pensare a quella canzone mi fa venire i brividi. E' come se l' avesse scritta per lui, in questo momento". Fra i tanti valori avuti in eredità dal padre, Cristiano mette al primo posto la coerenza. "Ha lottato per quello in cui credeva, sempre. Non lo ha mai fatto per moda o per andare controcorrente, ma semplicemente perché lui dalla parte dei più deboli ci stava per intima scelta. Ed è sempre stato coerente con le sue idee. Mi ha lasciato una grande forza interiore, mi ha insegnato a prendere le distanze e guarire da questa società malata di consumismo, protagonismo, apparenze. Era una persona schiva, mi diceva: "Fai qualcosa solo se ne vale la pena, se non sai cosa dire stai zitto". Ecco, ho preso un po' di questo, da lui. Un po' meno la sua genialità". Fabrizio De André aveva tre nipoti, tutti figli di Cristiano. Il più grande ha dodici anni e si chiama Fabrizio, come il nonno. Poi ci sono i gemelli Filippo e Francesca, che compiranno 9 anni il 25 gennaio. "Beh, come nonno non era il massimo della pazienza" ricorda Cristiano "lui con i bambini ci giocava un po' ma poi si stufava subito. Ma il suo affetto lo sapeva esprimere, eccome. Aveva molta simpatia per Filippo, diceva che era quello che più gli somigliava, come carattere. E poi riusciva a prendere le mosche con i piedi. Era una cosa che divertiva moltissimo papà".



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 12

Dalla "Guerra di Piero" all' ultimo album "Anime salve". Il romanzo di un poeta Il brano che gli cambiò la vita fu "La canzone di Marinella": interpretata da Mina nel 1965, fu subito un successo

UN NOBILE ANARCHICO AL SERVIZIO DEI PERDENTI APPARTENEVA A UNA FAMIGLIA DI IMPRENDITORI, MA SIN DA ADOLESCENTE MOSTRÒ INSOFFERENZA PER L' AMBIENTE BORGHESE



ROMA - (fl.br.) Pur appartenendo ad una delle famiglie di spicco dell' imprenditorialità genovese, sin da adolescente Fabrizio De André mostra segni di insofferenza verso l' ambiente della borghesia genovese che pure frequenta. Dopo aver conseguito il diploma di maturità classica, senza eccellere, si iscrive all' università senza mai riuscire a trovare la strada giusta: passa da Medicina a Lettere e infine a Giurisprudenza, forse nel tentativo di emulare le imprese del fratello maggiore Mauro, che presto si affermerà come avvocato. Alla laurea non arriva mai. Perché allo studio di codici e codicilli del diritto antepone altre letture, divorando i classici della letteratura russa e francese, e poi i pensatori anarchici: Bakunin, Malatesta, Stirner. E perché, soprattutto, si accorge che la musica, cacciata dalla finestra quando da adolescente volevano imporgli di studiare il violino, sta rientrando dall' uscio con la chitarra alla quale accompagna le sue storie e i suoi personaggi: emarginati, umili, reietti della "buona" società che De André nobilita sempre con il filtro della pietà. Nel suo apprendistato alla musica incrocia spesso Luigi Tenco che si unisce al suo gruppo suonando il sax tenore. Poi passa in una formazione amatoriale di country and western, decidendosi infine a definire un proprio stile di cantautore scabro, crudo e corrosivo, d' ispirazione transalpina - i suoi maestri dichiarati sono Brassens e Brel - colpendo per l' assoluta personalità delle liriche e la sua voce melodicissima. La prima occasione professionale arriva con il 45 giri Nuvole barocche, nel 1958: ma il pezzo, scritto da altri, passa inosservato. Intanto, all' età di 22 anni, Fabrizio sposa Enrica "Puny" Rignon, e a meno di 23 è già padre di Cristiano. Il lampo di genio che gli cambia la vita è La canzone di Marinella che, interpretata da Mina nel 1965, diventa subito un hit. Il debutto come cantautore avviene tre anni più tardi con l' album Fabrizio De André vol. I: già contiene brani destinati a divenire dei classici, come Bocca di rosa e Via del Campo e, tra le altre, Preghiera in gennaio, scritta di getto poche ore dopo la morte di Tenco e a lui dedicata, due traduzioni di Brassens e l' irriverente Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers scritta con Paolo Villaggio, il migliore amico di quegli anni. Il ' 69 è l' anno della consacrazione nel Gotha della canzone d' autore: a ruota escono Tutti morimmo a stento e Fabrizio De André vol.II che balza al primo posto delle classifiche di vendita. Insieme a Marinella, vi figurano altri inni epocali: La guerra di Piero, Il testamento, La ballata dell' eroe e altre due riletture di Brassens, tra cui la superlativa Il gorilla. L' album successivo, Non al denaro né all' amore né al cielo, liberamente ispirato all' Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, lo scrive insieme a Giuseppe Bentivoglio (liriche) e Nicola Piovani (musiche), mentre Fernanda Pivano gli dedica una preziosa prefazione. Con gli stessi collaboratori, De André realizza nel 1973 il suo disco più apertamente politicizzato, Storia di un impiegato. Sulla strada del rinnovamento e del confronto, che lo porterà a svariate collaborazioni eccellenti nella sua carriera, Fabrizio incontra Francesco De Gregori nel successivo Canzoni, dove traduce ancora l' amato Brassens ma anche Leonard Cohen e Bob Dylan. Il sodalizio con il cantautore romano si cementerà compiutamente in Volume VIII, pubblicato nel 1975. Nello stesso anno Fabrizio, da sempre refrattario ad apparire sul palco, di cui ha il timor panico, effettua il suo primo tour (a 35 anni) partendo dalla più impensabile delle sedi, la Bussola di Sergio Bernardini. "Da allora, per anni, non riuscii a salire sul palco se prima non avevo ingoiato un litro di whisky, per darmi coraggio", confesserà. Nel ' 77 diventa padre per la seconda volta: la bimba, cui viene imposto il nome di Luisa Vittoria, è figlia della sua nuova compagna, la cantante Dori Ghezzi. Nell' anno successivo pubblica Rimini, dove gli è (nuovo) coautore Massimo Bubola. Fa seguito un lungo tour con la Pfm, che riaggiorna in chiave rock il suo repertorio, finendo in due album dal vivo. In quello stesso anno De André acquista un' azienda agricola a L' Agnata, a trenta chilometri da Tempio Pausania, in Sardegna. Ed è lì che, il 28 agosto del 1979, viene sequestrato insieme a Dori. Nascosti tra le montagne sarde, incappucciati o incatenati a un albero, resteranno prigionieri per quattro mesi. Pure Fabrizio troverà, con il tempo, anche la forza di perdonare i suoi sequestratori, dedicando alla traumatica esperienza una canzone dolente come Hotel Supramonte, che compare nell' album pubblicato nel 1981, Fabrizio De André, scritto ancora con Bubola: un disco dove l' autore costruisce un possibile parallelismo tra la cultura degli indiani d' America e quella autoctona del popolo sardo. Tre anni più tardi, nel 1984, esce Creuza de ma, un album destinato alla storia: realizzato insieme a Mauro Pagani, è un viaggio appassionato nella musica mediterranea dove gli strumenti della tradizione nordafricana, greca, occitana, convivono con quelli elettrici in un universo poetico di rara intensità. Il disco, interamente cantato in genovese, segna una pietra miliare per l' allora nascente world music. Nell' album successivo, Le nuvole, De André si ispira ad Aristofane. E nell' apocalittica La domenica delle salme esprime il pericolo della normalizzazione d' una società senza più rabbia né ideali. L' ultimo disco inedito è l' intenso Anime salve, interamente concepito "a due teste e quattro mani", come amava raccontare, con il collega (e amico) genovese Ivano Fossati. Seguono un doppio live e l' antologia Mi innamoravo di tutto, mentre, due anni fa, De André esordisce come scrittore in coppia con Alessandro Gennari: il romanzo si intitola Un destino ridicolo e contiene molti spunti autobiografici, rivelando il retroterra culturale di Fabrizio nella Genova degli anni Sessanta. Il racconto era destinato a diventare un film, con la regia di Claudio Bonivento e la supervisione dello stesso cantautore.


--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 12

di GIOVANNI MARIA BELLU



Nonostante il rapimento del ' 79, viveva nella campagna di Tempio Pausania otto mesi l' anno

L' AMORE PER LA SARDEGNA DI UN CONTADINO SPECIALE CON AMARA IRONIA, DOPO IL SEQUESTRO, DEFINÌ LA PARTE MALATA DEL PAESE "HOTEL SUPRAMONTE" LA SUA ISOLA



ROMA - Diceva di essere più sardo di Segni e di Cossiga "che in Sardegna ci tornano quindici giorni all' anno". Fabrizio De André in Sardegna, e precisamente nella villa dell' Agnata, nelle campagne di Tempio Pausania, ci viveva anche otto mesi su dodici, da circa venticinque anni. E, assieme a Dori Ghezzi, aveva anche trascorso tre di questi mesi proprio nel cuore (malato) della Sardegna che lui chiamò - forse senza immaginare che abuso sarebbe stato fatto di quell' immagine - "Hotel Supramonte". Ma il suo essere quasi-sardo non era un risultato del trascorrere del tempo, di una abitudine, né un effetto del trauma del sequestro. Un percorso nel contempo lineare e tortuoso. A pagare il riscatto - 600 milioni nel 1979, una bella cifra - fu il padre, dirigente industriale, già braccio destro di Attilio Monti. Durante il sequestro fu rilevato - anche con qualche eccesso di compiacimento - il paradosso del cantautore anarchico rapito dai banditi verso cui simpatizzava e salvato dal capitale familiare. Pochi ricordarono, allora, che De André senior - come Fabrizio avrebbe raccontato a Fernanda Pivano molti anni dopo - era un mazziniano convinto, "quindi non lontano da certe idee libertarie", che quando tornava dai suoi viaggi in Francia "Non si dimenticava mai di portarmi un disco di George Brassens". Né ricordarono che Fabrizio De André restò molto stupito quando scoprì che certe tarantelle che credeva di aver mutuato da Brassens venivano in realtà proprio da Napoli, città d' origine della madre e della nonna del cantautore francese. Qualcosa di simile è successo con la Sardegna. Tra De André e l' isola esisteva un sostrato comune, una comune concezione del mondo. Come se l' antistatalismo "naturale" di De André ("caratterialmente" oltre che ideologicamente anarchico) e quello storico della Barbagia si fossero a un certo punto incontrati e avessero deciso di stringere un patto di ferro. De André, del resto, già sbeffeggiava i giudici, e la Sardegna - quella Sardegna - da secoli malediceva sa zustissia. Una amicizia - poi cementata dall' amore per le sughere e per il vino, per il granito e il pane, per il mare e le vecchie storie - che nemmeno il sequestro (cominciato il 27 agosto e finito il 22 dicembre del 1979) riuscì a rompere. Anzi, per certi versi, la rese ancora più forte: De André definiva quella sarda "una etnìa rivolta al futuro e rispettosa del passato". "Gente - diceva - che ama i bambini e rispetta i vecchi". E questo potrebbe far sorgere il sospetto d' un approccio romantico - l' approccio che può permettersi chi ha fama, denaro, sicurezza - alla Sardegna. Una specie di recupero barbaricino del mito del buon selvaggio. Il fatto è che De Andrè in Sardegna si è sporcato le mani, ha combattuto - nei primi anni dell' Agnata - con le normative agrarie e i contributi Cee, ha letto decine di libri sulle tecniche di coltivazione e di allevamento. Ha tentato di far quadrare i conti della sua azienda: se nel 1978 decise di cantare in pubblico per la prima volta fu proprio per i debiti dell' Agnata. Dopo il sequestro, è vero, coniò la fuorviante definizione di "Hotel Supramonte" ma un poeta sardo doc - e nuorese per giunta, Sebastiano Satta - non giunse fino al punto di definire i banditi "belli, feroci, prodi"? De André no: chiamò, più sobriamente, "marinaio di foresta" il latitante. Poi collaborò senza incertezze alle indagini e si costituì parte civile (sebbene solo contro i "capi", che erano anche pentiti, e non contro i gregari) nel processo. Ma c' è un altro Satta, un altro sardo, che ha qualcosa di comune con De André: Salvatore Satta, insigne giurista, poi scrittore. Se De André vedeva nei racconti dei vecchi di Tempio qualcosa che gli faceva pensare a Garcia Marquez, Satta nel suo "Giorno del giudizio" ha descritto un sistema di valori e di rapporti che sembrano parlare col mondo di De André: "Il pastore appartiene alla dinamica della vita, il contadino alla statica... Nessuna legge può impedire al pastore di considerare la sua proprietà in tutto quello che l' occhio può abbracciare". Ha detto De André parlando dei suoi sequestratori: "Era come se dicessero: a me non manca niente, ma perché mi metti sotto il naso la villa con piscina, l' automobile, l' aereo privato? A questo punto me ne crei il bisogno...". Fabrizio De André, giunto in Sardegna da contadino, è diventato pastore. Ha considerato "suo" quell' intero mondo, fino a impararne la lingua, fino a condividerne le rabbie e le illusioni, fino ad aderire - per qualche mese - a un movimento indipendentista, fino ad aprire la sua casa a tutti i visitatori facendone un agriturismo speciale, dove non ti sentivi ospite ma amico.



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 12

di LUIGI MANCONI



GUAI A IMPRIGIONARLO NELLA MUSICA "POLITICA" GLI ESCLUSI E I DEVIANTI NON SONO MAI UN ALTRO SCONOSCIUTO



PER parlare del lavoro di Fabrizio De André, il criterio più appropriato è quello musicale-letterario. Tutte le altre considerazioni (di ordine culturale o sociologico o addirittura ideologico) sono spesso superflue e talvolta, assai fallaci. Ebbene, sotto il profilo musicale-letterario, la peculiarità della produzione di De André è assai significativa (e rarissima): è il fatto di aver saputo scrivere una delle sue canzoni più belle ("Princesa") nel 1996, a trent' anni dai suoi più audaci e innovativi lavori. Mentre la gran parte dei suoi colleghi ha dato il meglio di sé nella prima fase di attività, il solo De André ha saputo offrire canzoni di altissima qualità per oltre tre decenni; e ci ha dato con "Creuza de Ma" (1983) la sua opera più matura sotto il profilo musicale. Perché sottolineare questo? Perché spiega, a mio avviso, come la forza dello scrivere e del musicare di De André fosse assai più solida e più "lunga" del contesto (culturale storico e ideologico) nel quale, pure, era immerso e si voleva immerso. Guai, dunque, a imprigionare il lavoro di De André all' interno di una lettura "politica" o a scrivere, come già fanno le agenzie, che "la sua musica entra a far parte della colonna sonora dei fermenti del ' 68". Al contrario, il suo album meno riuscito è proprio quello più dichiaratamente "generazionale" (ovvero "Storia di un impiegato"). De André si interessa di politica, discute di politica, si appassiona persino alla politica "solo quando strettamente indispensabile" (me lo disse lo scorso settembre). La sua politica è, piuttosto, quella della com-passione (ovvero del patire insieme) per gli ultimi. Il suo volersi anarchico, il suo sottrarsi alle appartenenze e alle ubbidienze e alle mode, anche politiche, contribuisce a consentirgli una costante contemporaneità (e, con ciò, la capacità di non apparire mai come un reduce). D' altra parte, la compassione di De André - ecco l' altra sua grande risorsa - non è mai commiserazione: ovvero partecipazione al miserabilismo. Gli esclusi e i devianti di cui parla, proprio perché espressione di una parte dello stesso De André, non sono mai un altro sconosciuto ed esotico: e non sono mai solo disperazione e digrignar di denti. Sempre hanno una loro faticosa dignità e sempre hanno una loro faticata allegria. Dalla Maddalena alla transessuale Princesa, dai ladroni in croce fino ai tossicodipendenti, quell' umanità di puttane e puttanieri, di ladri e biscazzieri, ma anche di minoranze etniche e religiose e sociali, non ha mai alcunché di oleografico: sia perché l' ironia è sempre vigile; sia perché evidentemente, il presepio, a De André, non è mai piaciuto. O meglio, gli piaceva quello dei vangeli apocrifi: più scabro e più umano.



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 14

di CARLO MORETTI



Amici, colleghi, personalità della cultura ricordano il cantante Mogol: "Un uomo dall' anima aristocratica, umile malgrado le sue grandi qualità"

VASCO: "LA SUA VOCE ALLEGRAMENTE CONTRO" VILLAGGIO: "INTELLIGENTE, GENIALE, UN PO' VANITOSO E SNOB. ERA UN ANARCHICO, GRANDE POETA"



ROMA - "Mi accompagnerà sempre la sua grande umanità vissuta senza chiedere niente in cambio, una cosa sinceramente rara oggi e non solo nel nostro ambiente". Questo il ricordo di Fabrizio De André nelle parole di un Vasco Rossi profondamente turbato dalla scomparsa del musicista genovese. "Oggi ho perso un amico oltre che un punto di riferimento artistico molto importante. Senza esagerazioni credo di aver cominciato a scrivere canzoni proprio dopo aver ascoltato quelle di Fabrizio. Alla metà degli anni ' 60, in un periodo di grande stagnazione culturale, la sua voce è stata la prima ad essere allegramente contro. Fabrizio e Dori vennero a trovarmi a casa mia nell' 82, in un periodo molto difficile per me. Si annunciarono con una telefonata e rimasero con me tutta una serata. Li ho conosciuti così. Circolavano giudizi terribili sul mio conto, loro mi avevano capito, non si erano fermati alle apparenze, cercavano l' uomo". Ma ecco le altre reazioni: PAOLO VILLAGGIO - "Era intelligente, geniale, allegro, squinternato, un po' vanitoso, snob: non era triste, come voleva l' immagine pubblica che gli avevano dipinto addosso. Era un anarchico, grande poeta". BRUNO LAUZI - "Era un grande signore sia della vita che della musica". VENDITTI - "Dopo Lucio Battisti se ne va Fabrizio. Questa fine millennio procura brutte notizie e pessime sensazioni". MOGOL - "Era un uomo dall' anima aristocratica, nel senso più positivo del termine, un signore, un artista di grande classe, molto umile malgrado le sue grandi qualità". PINO DANIELE -"Se n' è andato un pezzo della cultura italiana". NOMADI - "Siamo tutti più tristi. Con Guccini, è stato il più grande della sua generazione". FERNANDA PIVANO - "Non trovo le parole per ricordare questo grande artista, grande poeta della canzone, grande amico". DACIA MARAINI - "I suoi versi sono entrati nell' immaginario e nella fantasia degli italiani come i versi di Dante o Leopardi". MARIO LUZI - "La sua canzone pescava nella tradizione antica e colta e in quella locale, come anche nello choc di una realtà degradata". ROBERTO MUROLO - "Per il concerto del primo maggio del 1993 in piazza San Giovanni mi sobbarcai viaggi notturni pur di non mancare al suo invito. De André mi aveva voluto con lui sul palco e io ne fui felicissimo". DARIO FO - "è incredibile come la cultura ufficiale si sia opposta al fatto che un cantore potesse realizzare lavori a così alti livelli. De Andrè si era permesso di lavorare su analisi storiche e poetiche. E puntualmente era stato criticato".



--------------------------------------------------------------------------------


la Repubblica - Martedì, 12 gennaio 1999 - pagina 14

"CANTAVA DELLA VITA IL LATO TORBIDO" RADIO VATICANA



CITTà DEL VATICANO - "Aveva dato voce all' inquietudine esistenziale dell' uomo d' oggi". Così Radio Vaticana che ha dedicato una nota alla morte di De Andrè. "Veniva dall' alta borghesia ma ha passato la vita a denunciare le ipocrisie del vivere borghese. Della sua Genova aveva cantato il lato più torbido, della vita quello più drammatico... Nei suoi testi è costante il legame con intellettuali non soltanto europei... La sua voce, calda nel timbro e fredda nel fraseggio, aveva cantato il lato oscuro del mondo".
Avatar utente
Babette
Olandese Volante
Messaggi: 2068
Iscritto il: lun ago 18, 2003 11:42 pm
Località: Firenze, da sempre ma non per sempre
Contatta:

Messaggio da Babette »

Stravo ascoltando Led Zeppelin III ma mi avete fatto venir voglia...metto su Fabrizio :P
Un libro dovrebbe essere una sfera di luce nelle mani di chiunque (Ezra Pound)
Avatar utente
Kiarina
Corsaro Nero
Messaggi: 1260
Iscritto il: dom apr 27, 2003 1:35 pm
Località: modena
Contatta:

Messaggio da Kiarina »

Sto ascoltando The Sheltering Sky di Ryuichi Sakamoto, il main theme de Il tè nel deserto. Che brividi :yes!:
Ero fortunato ad avere ancora mia madre che, occupandosi di me, mi permetteva di protrarre l'adolescenza. Molto fortunato. Ero nato con la camicia: tanto valeva che me la stirasse. (Il conto dell'ultima cena-Andrea Pinketts)

"Sono un clown e faccio raccolta di attimi." (Opinioni di un clown, Boll)
Avatar utente
Tanelorn
Olandese Volante
Messaggi: 5092
Iscritto il: lun nov 04, 2002 8:32 pm
Località: Bologna/Rimini
Contatta:

Messaggio da Tanelorn »

Io oggi sono ancora "rockarolla", e allora vai di nuovo di Gluecifer (che almeno danno la carica prima di mettersi a studiare...) !!
"And there's so many many thoughts
when I try to go to sleep
but with you I start to feel
a sort of temporary peace..." (D. Cavanagh)
Avatar utente
orsomarso
Re del Mare
Messaggi: 1942
Iscritto il: lun mag 12, 2003 11:41 pm
Località: L'Aquila
Contatta:

Messaggio da orsomarso »

Ho comprato un CD in edicola di musica Jazz, non ne conosco nemmeno uno degli autori che ci suonano, però mi aveva ispirato la copertina! :mrgreen:

In questo momento sto ascoltando: Buhana Blues - Imaginary Boundary (R.Magris)

Comunque ho ascoltato il cd a pezzetti prima di pranzare, e mi pare discreto :yes!:
Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi. (S.PENNA)
Avatar utente
Amaryllis
Re del Mare
Messaggi: 1591
Iscritto il: ven apr 25, 2003 6:58 pm
Località: Milano
Contatta:

Messaggio da Amaryllis »

Grant Lee Buffalo, Drag
“Le fiabe dicono più che la verità. E non solo perchè raccontano che i draghi esistono, ma anche perchè affermano che si possono sconfiggere.”

G. K. Chesterton
Avatar utente
orsomarso
Re del Mare
Messaggi: 1942
Iscritto il: lun mag 12, 2003 11:41 pm
Località: L'Aquila
Contatta:

Messaggio da orsomarso »

Caparezza - Verità Supposte
Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi. (S.PENNA)
Avatar utente
CuteBoy
Olandese Volante
Messaggi: 3708
Iscritto il: dom nov 02, 2003 6:00 pm
Località: SviTiCa
Contatta:

Messaggio da CuteBoy »

magari potete ascoltarlo anche voi sul sito
www.rtsi.ch/rete1

c'è un documentario su de andré...

moolto bello
Avatar utente
Tanelorn
Olandese Volante
Messaggi: 5092
Iscritto il: lun nov 04, 2002 8:32 pm
Località: Bologna/Rimini
Contatta:

Messaggio da Tanelorn »

Adesso e' su "Sleepy Buildings", il live acustico dei The Gathering. Molto "atmosferico" e dolce, al primo ascolto sembra notevole !
"And there's so many many thoughts
when I try to go to sleep
but with you I start to feel
a sort of temporary peace..." (D. Cavanagh)
Rispondi