Non posso non scrivervela
Montare la tenda fu assai più complicato di quanto nessuno di noi avesse previsto. In teoria sembrava così semplice. Si prendevano cinque archi di ferro simili a giganteschi archetti da croquet, si fissavano sopra la barca e poi vi si stendeva sopra il tendone e lo si fissava sulla base; pensavamo che fosse questione di dieci minuti.
Avevamo fatto male i nostri calcoli.
Prendemmo gli archi e ci disponemmo a infilarli nelle apposite incavature. Non si direbbe mai che questo sia un lavoro pericoloso, ma oggi ripensandoci mi meraviglio che siamo tutti vivi a raccontare la storia. Quelli non erano archi di ferri, ma demoni. Da principio non volevano saperne di entrare nelle incavature e dovemmo saltarci sopra, prenderli a calci e martellarli col rampone della barca; e quando erano già entrati saltò fuori che ciascun arco aveva la sua incavatura e che li avevamo abbinati male, perciò fu necessario estrarli di nuovo.
Ma non volevano più uscire, finché due di noi vi si accanirono sopra per cinque minuti; lloro saltarono su all’improvviso tentando di gettarci in acqua e di farci annegare. Avevano dei cardini nel mezzo che, non appena guardavamo altrove, ci pizzicavano nelle parti più delicate del corpo; e mentre lottavamo con un’estremità dell’arco per convincerla a fare il suo dovere, l’altra schizzava vigliaccamente alle nostre spalle e ci colpiva in testa.
Alla fine riuscimmo a fissarli e non rimaneva altro da fare che stenderci sopra la tenda. George la srotolò e ne assicurò un’estremità alla prua della barca. Harris stava nel mezzo perché George gliela passasse, per poi farla scorrere verso di me che ero a poppa, pronto a prenderla. Ci volle molto tempo prima che arrivasse fino a me. George fece bene la sua parte, ma per Harris era una novità e si impasticciò. Non so cosa riuscì a combinare e lui stesso non seppe spiegarselo; ma per chissà quale misterioso procedimento accadde che dopo dieci minuti di sforzi sovrumani si trovò completamente arrotolato nella tenda. Era avviluppato così strettamente e csì bene immobilizzato che non poteva uscirne. Naturalmente lottava con frenesia per riacquistare la libertà – diritto di nascita di ogni inglese – e così facendo (come seppi poi) atterrò Gorge, il quale, imprecando contro Harris, cominciò a dibattersi pure lui, e si ritrovò impacchettato e arrotolato a sua volta.
Lì per lì non capii niente. Di quella roba non mi intendevo affatto. Mi avevano detto di stare fermo dov’ero e di aspettare che la tela arrivasse fino a me, quindi Montmorency (il cane) e io rimanemmo lì ad aspettare buoni buoni. Vedevamo benissimo che la tenda veniva tirata e spinta da tutte le parti con violenza, ma credevamo che facesse parte del metodo di montaggio, e non interferimmo.
Da sotto la tela udimmo anche un bel po’ di linguaggio colorito e supponemmo che i due avessero incontrato qualche difficoltà, e deliberammo di aspettare che lo cose si fossero un tantino semplificate, prima di intervenire.
Aspettammo un po’, ma la situazione sembrava intricarsi sempre più, finché da ultimo la testa di George sbucò dimenandosi fuori dal bordo della barca, e parlò:
“Non potresti darci una mano, rimbambito; te ne stai lì come una mummia impagliata, mentre vedi che stiamo per soffocare, imbecille!”
TRE UOMINI IN BARCA – Jerome K. Jerome