Rossovermiglio - Benedetta Cibrario

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ciucchino
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Rossovermiglio - Benedetta Cibrario

Messaggio da ciucchino »

Il romanzo racconta la vita della contessa Villaforesta e del suo ambiente aristocratico nella Torino prebellica e nelle campagne senesi dalla seconda guerra mondiale in poi. Penso che l’intento della scrittrice fosse non tanto di costruire una saga familiare evidenziando il personaggio della contessa, l’io narrante del romanzo, quanto di ricostruire il passaggio tra due epoche: il mondo scintillante e snob dell’aristocrazia prima della catastrofe della seconda guerra mondiale tra snobismo e tradizioni e il mondo post-bellico con il crollo dell’illusioni e la nascita della Repubblica Italiana.
Il romanzo si fa leggere e la protagonista è un personaggio interessante: una donna che da un lato vuole evadere dalla gabbia dorata del suo mondo ma dall’altra è troppo vigliacca per spiccare il volo e la sua ribellione si concreta in una fuga nelle campagne senesi a costruire un’azienda vinicola senza affrontare i problemi di un matrimonio combinato e senza cercare mai di capire chi fosse veramente il marito.
Qualcosa però non mi ha convinto: la lettura è piacevole, il romanzo è scritto molto bene, ma… è come se si fosse persa l’occasione di scrivere un libro indimenticabile. Non mi sono appassiona come in altri romanzi sul genere (ad es. “La casa degli spiriti” di I. Allende) perché mi è sembrata un romanzo freddo, come se si dovesse scrivere un compito che, seppur scritto bene, non ti lascia emozioni. Anche la Torino degli anni Trenta non emerge con chiarezza come ad es. nel libro “Il bacio della Medusa” di M. Mazzucco dove sembra di essere lì o di aver proprio vissuto quell’epoca e quella città con le sue strade, la sua collina e la sua gente.
Per me, è sicuramente un romanzo piacevole da leggere ma è anche un’occasione perduta.
"I libri li rubavo. I libri non dovrebbero costare nulla, pensavo allora e penso ancora oggi".
(Pascal Mercier, "Treno di notte per Lisbona)

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Towandaaa
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Re: Rossovermiglio - Benedetta Cibrario

Messaggio da Towandaaa »

Una lettura di cui, secondo me, si può dire tutto ma non che sia scorrevole: a fare da zavorra concorrono sia l’alternarsi delle diverse dimensioni temporali, non sempre ben scandito e facilmente riconoscibile, sia alcuni passaggi molto lenti in cui sembra di annaspare in un niente di fatto per lo sviluppo della trama e per l’approfondimento dei personaggi. A lettura terminata mi è rimasto un senso che direi di incompiutezza: la protagonista compie un passo importante (soprattutto contestualizzandolo in un’epoca che sembra ormai distante anni luce dalla nostra), ma quello che poteva sembrare l’inizio di una nuova vita in cui finalmente sarebbe stata lei a tenere le redini della propria esistenza si risolve invece in una pura e semplice fuga, in cui rimane pur sempre in balia degli eventi, passando dal controllo su di lei esercitato dal padre e dal marito, al controllo comunque subito da parte dell’amante e dell’avvocato di cui solo alla fine si scopre il vero ruolo nella vicenda. Da una prigione a un’altra prigione, quindi. Un atto coraggioso di ribellione che non si concretizza poi nella autodeterminazione lascia molto amaro in bocca, come una promessa non mantenuta o una buona occasione sprecata. La protagonista risulta così una figura piuttosto sfuocata (ed il fatto che non ne conosciamo nemmeno il nome contribuisce ad accentuare questa impressione). Ma non sono da meno anche gli altri, primo tra tutti Trott (le cui mire mi erano sembrate abbastanza chiare fin dall’inizio…..possibile che l’amore renda così ciechi ??!!).
Nel complesso: un testo molto descrittivo (per i miei gusti a volte fin troppo), con alcuni passaggi che mi hanno colpito (per esempio, a pagina 142: “tutte le lacrime […] che non possono solcarti le guance se ne vanno da un’altra parte, scavano dentro, sotterranee come certi fiumi, anzi, incanalate così hanno una forza e una violenza che brucia e corrode, consuma il cuore e allappa il cervello”) ma che nel complesso non compie mai un guizzo, fosse anche di ironia o di critica sociale, rimanendo piuttosto piatto. Lo si legge quindi con un senso di distacco, come quando si osserva un panorama di cui non ci si sente partecipi, e nemmeno il finale, che negli intenti della scrittrice doveva forse servire a ribaltare l’opinione del lettore sulla vicenda, mi è sembrato tale da risollevare le sorti di una lettura che a dispetto delle grandi passioni che voleva raccontare rimane sempre piuttosto fredda.
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