Il romanzo racconta due vicende inserendole in un calderone di storie e personaggi che si intrecciano tra loro e con continui salti temporali. La vicenda principale è il racconto della ricerca scientifica sui delfini di Piya, giovane indiana vissuta a Seattle e tornata in India affascinata dalle orcelle. Quando arriva a Canning conosce in treno Kanai, un affascinante intellettuale indiano moderno e “uomo di mondo”, conoscitore di 6 lingue che sta andando a Lusibari, la più lontana delle isole abitate nel paese delle maree, a trovare l’anziana zia. L’incontro casuale sembra del tutto privo di conseguenze ma i due si ritroveranno a Lusibari a causa delle disavventure iniziali di Piya con la sua ricerca scientifica, ossia lo scontro con la burocrazia e le prepotenze di chi indossa una divisa. Piya viene salvata da Fokir, un analfabeta e solitario pescatore che le svelerà i segreti delle maree e dei percorsi dei delfini pur non essendo assolutamente in grado di capirsi dato che Piya non parla la sua lingua. Piya rimarrà completamente affascinata da questo uomo completamente diverso da lei per cultura e estrazione sociale e riusciranno a comunicare tramite i gesti e gli sguardi.
L’altra vicenda, a mio giudizio meglio riuscita e affascinante, è il racconto della rivolta di Morichijhapi : alcuni indiani per sfuggire alla povertà e alla fame avevano illegalmente occupato l’isola sognando di costruire una società priva di caste e che desse a loro la possibilità di sopravvivere. Questa utopia verrà stroncata nel sangue. E’ interessante il modo in cui l’autore incrocia le diverse storie con l’espediente del resoconto in un taccuino della rivolta di Morichijhapi che lo zio di Kanai gli ha lasciato in eredità. Per la parte centrale del libro quindi le vicende vengono raccontate in parallelo e man mano non solo scopriamo cosa è successo a Morichijhapi, ma anche i legami tra i protagonisti di quella rivolta e quelli contemporanei alla narrazione.Here be spoilersLa spedizione scientifica termina con una disgrazia che non impedirà però alle ricerche di dare i loro frutti.
Il romanzo è sicuramente scorrevole e piacevole da leggere e ho apprezzato molto questo incastrarsi delle storie. L’autore è molto bravo a scrivere il fascino di questi posti non più terra e non ancora mare, dove le acque salate e dolci si mescolano e dove le utopie hanno cercato di diventare realtà. Nonostante ciò, la parte contemporanea non mi ha entusiasmato e ho trovato alcune parti (in particolare quelle più “scientifiche”) un po’ noisosetta. Il personaggio di Piya poi mi è risultato molto antipatico mentre Fokir è troppo “schiacciato” dallo stereotipo.
Molto interessanti le riflessioni sul compromesso tra rivoluzione e adattamento alla situazione per poter ottenere almeno “qualcosa”, visto che il “tutto” è un’utopia, e la profonda riflessione sull’ecologismo “militante” che non pensa ai costi umani pur di salvaguardare le tigri del bengala piuttosto che una riserva naturalistica. Il libro fa riflettere come l’ecologismo non debba essere cieco di fronte alla realtà locale, ma solo tenendo conto delle esigenze degli uomini che vivono su quelle terre si può arrivare a uno sviluppo consapevole e a una convivenza il più possibile pacifica.
Insomma: un bel libro anche se non mi ha entusiasmato ma che ti fa venir voglia di partire per vedere i tramonti su queste isole affascinanti ma così difficili da vivere.