"Domani" - Joseph Conrad

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Towandaaa
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"Domani" - Joseph Conrad

Messaggio da Towandaaa »

Due racconti su temi importanti e ricorrenti nella narrativa di un certo spessore quali la difficoltà di comprensione reciproca, la diversità e i pregiudizi che ne scaturiscono, l’alienazione.
In un quadro generale di pessimismo a tinte fosche, cupo quanto la tristezza dei personaggi che vi si muovono.
- Domani – Sottoscrivo in pieno l’assunto di Conrad “Qualunque stato mentale, anche la pazzia, ha il suo equilibrio fondato sulla stima di noi stessi, e qualunque cosa avvenga a sconvolgere tale equilibrio ci fa soffrire”. Ma ... siamo sicuri che quella di Capitan Hagberd sia proprio pazzia ? Io sono più propensa a credere che si tratti invece di una semplice definizione di comodo, attribuita per di più anche per egoismo.
Dal punto di vista di chi vede un persona comportarsi in modo eccentrico, al di fuori dei canoni consolidati dagli usi e dalle abitudini, è infatti facile e comodo etichettarla come pazza, perché tale marchio implicitamente comporta anche atteggiamenti di estraneità, allontanamento, rifiuto.
E allo stesso modo, dal punto di vista dello stesso Capitan Hagberd, più che di pazzia, non potrebbe trattarsi di un più o meno consapevole rifiuto di accettare che le aspettative per anni riposte sul figlio siano destinate a rimanere deluse ? Piuttosto che riconoscere il fallimento di tutti i propri progetti per il figlio, piuttosto che (in senso più generale) accettare l’alterità del figlio rispetto a se stesso e le diverse scelte di vita di quest’ultimo, avvalorare l’opinione altrui circa la pazzia può essere anche una via di fuga per proteggere la propria autostima.
Non sono affatto sicura che davvero Hagberd non abbia riconosciuto il proprio figlio. Forse semplicemente non lo ha accettato nella sua diversità dall’immagine che se ne era costruita. E si è rifugiato definitivamente in quel gioco delle parti della pazzia a cui anche altri autori hanno dato espressione: basti pensare a “Enrico IV” di Luigi Pirandello e a “I fisici” di Friedrich Dürrenmatt. Altri luoghi, altri tempi, ma la stessa idea di fondo. Rispetto ai protagonisti di questi ultimi due testi teatrali forse Hagberd ha un minore grado di consapevolezza, ma chi può dirlo di fronte a una condizione, quella della pazzia, che sfugge per sua natura a classificazioni certe ? E che i “pazzi” stessi possono anche ritorcere nei confronti degli altri, come un’accusa densa di commiserazione ? C’è una battuta del protagonista di “Enrico IV” emblematica a tale proposito – “Sono guarito, signori: perché so perfettamente di fare il pazzo, qua; e lo faccio quieto ! Il guaio è per voi che la vivete agitatamente, senza saperla e senza vederla, la vostra pazzia” – e non mi sembrerebbe fuori luogo se a pronunciarla fosse anche Capitan Hagberd.
- Amy Foster – Il tema della diversità in questo racconto è più marcato ed evidente: Yanko è straniero, non si sa da dove venga, parla un’altra lingua, ha abitudini religiose diverse, non ha piena coscienza del luogo in cui si trova.
Di fronte a lui un muro di pregiudizi che si apre (ma non crolla del tutto) solo per gratitudine quando salva una bambina e solo per un fraintendimento di quel sentimento di compassione che porta Amy Foster a credere di poter essere sua moglie. Ma i pregiudizi sono comunque più forti di ogni altro moto dell’animo, perfino della volontà di provare a capire quell’uomo che ha affidato a un disperato viaggio in nave la propria sorte, verso il miraggio di una vita migliore.
Sono temi che non hanno confini, né storici né geografici, e che si ripropongono sempre con forza alla sensibilità del lettore di ogni tempo. Non credo che sia un caso che l’autore abbia dedicato il titolo alla donna, in un racconto che pare centrato sulla storia di Yanko: che abbia voluto indicarci velatamente che non è solo sui pazzi, sui diversi e sugli estranei che deve concentrarsi la nostra attenzione ?
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