A volte provo nei confronti dei classici un timore reverenziale ingiustificato e controproducente, perché nel dubbio di dover affrontare romanzi pesanti o complesse, mi privo di letture che a posteriori si rivelano bellissime.
Così è stato per “I pascoli del cielo” di Steinbeck. L’ho iniziato tanto per rompere il ghiaccio in previsione di una futura lettura di “Furore”, senza nemmeno sapere che non si tratta di un romanzo. Sono infatti 12 racconti legati tra di loro per la ricomparsa di alcuni personaggi e per l’ambientazione comune. Tutte le storie narrate si svolgono nei Pascoli del cielo del titolo, area agricola della California Centrale estremamente fertile e di facile coltivazione e che, per diversi dei personaggi, rappresenta una vera e propria occasione di riscatto se non proprio il luogo dove essere felici.
L’atmosfera pervasa in tutti i testi è lirica, poetica e seppure le vite raccontate non siano sempre semplici, resta in superficie durante la lettura una sensazione di serenità, di pace con il mondo. Grande merito credo debba essere dato senza dubbio allo stile narrativo di Steinbeck, ma anche alla pregevole traduzione (ormai datata poiché è del 1940, ma forse proprio per questo così suggestiva) di Elio Vittorini che ha saputo conservarne tutta la poetica.
Steinbeck, I pascoli del cielo
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Steinbeck, I pascoli del cielo
Nous habiterons une maison sans murs, de sorte que partout où nous irons ce sera chez nous- J.Safran Foer, Extrêmement fort et incroyablement près
E finalmente lui pronunciò le due semplicissime parole che nemmeno una montagna di arte e ideali scadenti potrà mai screditare del tutto. I. McEwan, Espiazione
Sempre Francesina, anche su Anobii
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