Qualcuno (Einstein? La memoria fa cilecca) diceva che i due elementi più abbondanti nell'universo sono l'idrogeno e l'idiozia. Se ci dovessimo limitare all'osservazione del microcosmo della Città del Peccato, troveremmo in quantità ugualmente strabordante sangue e parole, sia il primo che le seconde spesso a sproposito. Ma fa tutto parte del gioco.
Certo, se avendo a che fare con serial killer psicopatici, giustiziari non meno schizzati, poliziotti incorruttibili e/o corrotti fino al midollo, pupe da sballo, religiosi perversi e belve affamate di tutto questo sangue avremmo sentito la mancanza, stupisce decisamente di più il diluvio di parole da parte di chi, di solito, il proprio dovere lo svolge con la massima discrezione, nel silenzio più assoluto. Invece no, qui il sangue segue le parole, come è ampiamente prevedibile quando una battuta di troppo fa saltare la mosca al naso al tipaccio sbagliato, ma dalle parole è a sua volta seguito: nessuno, proprio nessuno, rinuncia alla frase d'effetto, così come nessuno è disposto a farsi scoraggiare da una cosetta da niente tipo la propria morte. E dunque i due delinquenti di mezza tacca con l'hobby dell'eloquio forbito vanno a braccetto col tirapiedi nazistoide tatuato cui nemmeno due frecce in corpo impediscono di blaterare e lamentarsi; e nemmeno il poliziotto violento, ancorché trapassato, rinuncia a sfottere l'ex-rivale in amore che sta cercando di sbarazzarsene; poco importa se l'ultimo suono che uscirà dalla sua bocca sarà lo scoppio di una bomba.
Il film ci racconta tre storie, ma ci presenta tanti personaggi. Hartigan e Marv sono impressionanti nella loro ferocia, e sembra incredibile che a muoverli sia l'amore, per quanto perverso e delirante possa essere. Dwight invece quasi scompare, insieme a tutti i personaggi dell'episodio centrale: per quanto spietati, sembrano quasi goffi al cospetto di colei che inevitabilmente manovra i destini di tutti, la città stessa, Sin City. Perché è proprio qui, nel bel mezzo del film, che ci rendiamo conto di dove siamo finiti.
Si è detto molto della tecnica con cui il film è stato girato, e fa riflettere quanto la realizzazione di un lungometraggio assomigli ormai a quella di un film di animazione. Però questo bianco e nero è proprio bello, e belle sono le scene sotto la pioggia, e le corse e gli inseguimenti in macchina. Anche i volti guadagnano molto dai contrasti di luce, e i corpi. Quegli schizzi di colore, di tanto in tanto, alla fine sembrano quasi indispensabili.
Il film ha una struttura circolare, le vite e le sfighe di tutti si sfiorano, si toccano, si intrecciano, nel tempo e nello spazio. Sembra quasi che da Sin City non si possa scappare mai.
P.S. Sono un pessimo critico, e queste righe le ho scritte solo per non studiare. Comunque, se non si fosse capito, il film mi è piaciuto. Non alla follia, ma mi è piaciuto.
